Diario di una schizofrenica di Nelo Risi – Italia – 1968- Durata: 109′

17 Marzo 2019 | Di Ignazio Senatore
Diario di una schizofrenica di Nelo Risi – Italia – 1968- Durata: 109′
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Anna (Ghislaine D’Orasy) è una diciassettenne affetta da “schizofrenia”. La paziente, primogenita di una ricca famiglia, ha iniziato ad avere i primi disturbi all’età di sei anni ed ha interrotto gli studi quando frequentava la terza media. Il quadro sintomatologico è ricco e dettagliato; indifferenza al mondo circostante, angosce, apatia, gesti automatici, stereotipia, allucinazioni uditive…Dopo una serie di ricoveri in varie cliniche private, la ragazza, ormai gravemente regredita (si rifiuta di mangiare e di muoversi) viene affidata alle cure di Madame Blanche (Margherita Lozano), una psicoanalista che, dopo un lungo trattamento riesce a trovare un varco per entrare in comunicazione con il mondo di Anna.

Il film è tratto dal volume “Le journal d’une schizophrène” della psichiatra svizzera Marguerite Andrée Sechehaye e scritto nel 1951. Seppur intenso e ricco di suggestioni, è privo di “invenzioni visive” ed ha, nel complesso, un taglio fin troppo documentaristico. La sceneggiatura soffre eccessivamente della sapiente consulenza del Prof. Franco Fornari, fino a divenire mera una divulgazione scolastica, orientata a mostrare eccessivamente “l’infallibilità” del metodo analitico. Sin dalle prime battute, le dotte e supponenti interpretazioni psicoanalitiche cadono a pioggia sulla testa dell’ignaro spettatore e tappezzano l’intero film. Qualche esempio? Nel corso del primo incontro la paziente disegna una lettera S sul vetro di una finestra e questa traccia è letta dalla psicoanalista, come un messaggio di aiuto, come un S.O.S che la paziente le ha lanciato (?). Successivamente, nel corso del film, un collega chiede a Madame Blanche perché la paziente può mangiare solo mele verdi.  Madame Blanche, interpretata da una Margherita Lozano troppo dura e legnosa,  sembra ostentare, in tutto il film, un’eccessiva e distanziante sicurezza. Non vacilla mai di fronte allo svolgersi degli eventi (neanche di fronte al tentato suicidio della ragazza) offre “impunemente” al padre della paziente un resoconto dettagliato delle sedute che svolge con Anna, ed infine, disertando le elementari regole del setting terapeutico (per poter prendersi totalmente cura di Anna ed offrirle dei colloqui giornalieri) decide di ospitare la paziente a casa sua, per diciotto mesi, Il regista, medico e poeta, nel voler riportare troppo fedelmente sullo schermo il testo della Sechehaye, si affida ad una narrazione eccessivamente asciutta e fin troppo distaccata e sceglie di salutare lo spettatore con una citazione di Freud: “Questi ammalati si sono distolti dalla realtà esterna ed è per questo che su quella interiore ne sano più di noi e possono rivelarci cose che, senza il loro aiuto, sarebbero rimaste impenetrabili:”

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