Dietro la porta chiusa di Fritz Lang – USA – 1948

5 Gennaio 2019 | Di Ignazio Senatore
Dietro la porta chiusa di Fritz Lang  – USA – 1948
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
0

Celia (Joan Bennett) dopo la morte del fratello che, gestiva il suo cospicuo patrimonio, parte per un viaggio in Messico. Scoppia una rissa per una donna e Celia s’infiamma nel vedere il duello tra i due focosi pretendenti.  Mentre assiste rapìta alla scena, si sente osservata da uno sconosciuto, Mark Lamphere (Michael Redgrave). E’ il classico colpo di fulmine. Terminato il viaggio di nozze, la coppia ritorna a casa e Celia scopre che il marito era già stato sposato in precedenza e che dal precedente matrimonio era nato David, un ragazzo chiuso ed introverso. Nel corso di un ricevimento, Marco mostra agli invitati le sue “camere da collezione” (stanze che si svelerà erano state tutte testimoni d’efferati delitti compiuti da uomini che avevano ammazzato la donna amata) ma non un’ultima stanza (la numero sette) da lui tenuta gelosamente sotto chiave. Celia, insospettita, scopre che la stanza “proibita” è la copia della loro camera da letto e (come era accaduto in precedenza alla prima moglie) che sarebbe stata la prossima vittima. In un finale ricco di colpi di scena, Mark è sul punto di strangolarla ma Celia lo aiuta a vedere dentro di sé, facendogli rivivere il trauma che ha condizionato la sua vita; quando aveva dieci anni l’uomo voleva impedire alla madre di andare ad un ballo ma fu segregato in una stanza (chiusa) a chiave. Da allora Mark aveva sempre ritenuto (a torto) che la madre era la responsabile della sua “prigionia”. Grazie all’aiuto di Celia scopre, invece, che l’autrice della terribile punizione era stata sua sorella.

Film immerso totalmente in un’atmosfera onirica e sognante che (come il titolo lascia facilmente intuire) rimanda a quei desideri (incubi, traumi) nascosti (chiusi a chiave) in ognuno di noi. Come in altri film di Lang, il maniaco ossessionato dalle collezioni di “camere per delitti”, non è descritto come un torbido criminale ma come una persona sofferente che deve essere “aiutato” a comprendere le ragioni del proprio male. In verità, lo “svelamento” del trauma che ha subito da piccolo, non chiarisce del tutto, la genesi della sua psicopatologia. Tratto dal romanzo “Camera chiusa n.13” di Rifus King.

Comments are closed.

Questo sito utilizza strumenti di raccolta dei dati, come i Cookie. Questo sito utilizza Cookie tecnici e di terze parti per fornire alcuni servizi. Maggiori Informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.

Chiudi