Ignazio Senatore intervista Ferzan Ozpetek

31 Dicembre 2015 | Di Ignazio Senatore
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C’è una certa tendenza nel cinema italiano che spinge i registi più talentuosi a non affidarsi a delle sceneggiature scritte di loro pugno ma a trasporre sullo schermo romanzi di giovani scrittori.  Un giorno perfetto, ultimo film di Ferzan Ozpetek è ispirato, infatti, al romanzo di Melania Mazzucco. La pellicola, accolta freddamente all’ultimo Festival del Cinema di Venezia, dopo un avvio in sordina, sta lentamente risalendo posizioni al botteghino, spaccando a metà critica e pubblico.

Il film mette al centro la storia di Emma, interpretata da un’intensissima Isabella Ferrari, una donna ancora giovane che abbandona il marito violento e, per mantenere i suoi due figli, sbarca il lunario con dei lavori precari. La tragedia è però dietro l’angolo e lascerà l’amaro in bocca allo spettatore.

Tutti i suoi film di successo da Il bagno turco a Le fate ignoranti, da La finestra di frontea Cuore sacro, fino al suo ultimo Saturno contro nascono da suoi soggetti. Come mai ha scelto di tradurre sullo schermo il romanzo di Mazzucco?

“Quando Domenico Procacci, il vulcanico produttore della Fandango, mi ha proposto di dirigere il film, non avendolo letto, ho telefonato a mia madre e le ho chiesto un parere ma lei, in maniera secca e decisa, mi ha risposto: “Assolutamente no”. Ed allora mi sono chiesto: “Ma perché no?”  Ho pensato  che queste vicende le leggiamo ogni giorno sui giornali ma giriamo in fretta le pagine senza chiederci il perché di quanto accaduto. Mi è piaciuta raccontarla alla mia maniera e rendere popolare una storia impopolare. “

Il film si apre con un lungo piano sequenza dove lei sembra pedinare i personaggi della storia fino a scavarli dentro.

Ho utilizzato questo artifizio stilistico per rimarcare lo scarto temporale tra quello che era accaduto loro un anno prima e la vicenda che si svolgerà successivamente nell’arco di ventiquattro ore.”

Il titolo del film è emblematico come il manifesto del film,

“Volevo raccontare le mille sfaccettature dei protagonisti e non mostrarli del tutti buoni o cattivi. Il titolo è una chiara metafora e rimanda impropriamente ad una famiglia felice e sorridente. Anche il manifesto, inizialmente, era molto diverso ed intorno ai personaggi al posto del prato verde c’erano degli alberi bruciati. Abbiamo poi pensato di voler puntare sul contrasto tra quell’immagine idilliaca e quello che accade loro nella realtà.”

Il rapporto tra Emma ed Antonio è ben calibrato ma gli altri personaggi della vicenda sono sfuocati ed il film annaspa in alcuni punti. Una scena merita però l’applauso ed è quando, avvolti da un silenzio carico di struggente e melanconica poesia, i due protagonisti, dopo aver fatto l’amore nel canneto, si guardano in silenzio, a lungo, fissi negli occhi.

“Dovevamo girarla in auto ma ho preferito ambientarla in un canneto che avevamo scoperto per caso nel corso di alcuni sopralluoghi. E’ la scena clou del film nella quale Antonio comprende di aver perso definitivamente la moglie e si rende conto che lei non tornerà più indietro.”

Nei suoi film la musica accompagna caricandoli, spesso, in maniera eccessiva, i diversi passaggi narrativi.

“Amo la pittura che, inconsciamente, condiziona certe mie inquadrature come la musica. Ad Andrea Guerra chiedo sempre che nei miei film ci sia un tema che possa essere ricordato come quelli di Love story o de Il dottor Zivago. So che a molti critici questa scelta non piace ma il mio cinema lo amo così perché per me la musica ha la stessa importanza del viso dell’attore.”

Il film è totalmente ambientato a Roma ma all’inizio del film ci si imbatte in due personaggi che parlano in un concitato dialetto napoletano.

“Alcuni mi hanno criticato perché secondo loro al Nord il napoletano non si capisce. Sbagliano perché il napoletano si capisce ovunque. Le battute del film erano inizialmente in italiano ma ho voluto spiazzare volutamente lo spettatore ed ho chiesto agli interpreti di tradurlo in napoletano per amplificare ancora di più l’effetto del prologo, tipico di una tragedia greca.”

 

Articolo pubblicato su “Epolis”- 20-09-2008

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