Greta Garbo

19 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore
Greta Garbo
Presentazioni volumi di Ignazio Senatore
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Il dettagliato volume di Maria Grazia Bevilacqua offre un esauriente rilettura della vita privata e professionale della Divina, descritta come una donna triste, sola, infelice, con scarse relazioni affettive ed ossessionata sia in campo sociale che lavorativo. Garbo pretendeva che i suoi set fossero circondati da paratie, in modo da escludere gli sguardi dei curiosi. Elettricisti, attrezzisti, macchinisti non potevano essere sul set mentre lei era ripresa. Voleva sapere quanti e chi fossero gli invitati; se arrivando trovava uno sconosciuto se ne andava. Se un suo amico parlava di lei ad altri era cancellato dalla sua corte. Prima di ritirarsi nel 1941 dalle scene all’età di 36 anni Greta Garbo non concesse mai un intervista, non partecipò mai ad una prima di un suo film, non si lasciò fotografare da riviste e giornali, né firmò un autografo. Algida, scontrosa, avara, tormentata da un complesso di inferiorità nei confronti degli attori di teatro,  rinchiusa nel suo mondo emotivo non amava la mondanità, né i riflettori dei paparazzi; quando nel 1955 le attribuirono l’Oscar alla carriera non andò a ritirarlo, né inviò un telegramma di scuse. Greta Lovisa Gustafsson (era questo il suo vero nome) nacque da una modesta famiglia svedese e a 14 anni dovette abbandonare gli studi perché il padre era affetto da una grave malattia renale. Notata da Mauitz Stiller che le fece da Pigmalione, Garbo riuscì a superare la tempesta del passaggio dal muto al sonoro, inanellando una serie di interpretazioni che entrarono immediatamente nella storia del cinema. Come è noto il cinema si basa sulla serialità, sulla ripetizione, su quello che viene chiamato in gergo “marche di riconoscibilità” (in un western deve esserci un saloon, una prigione, uno sceriffo, in un film di horror ci deve essere uno o più  omicidi). Fedeli a questi principi i film della Garbo erano facilmente riconoscibili dal grande pubblico: le ambientazioni dei film che interpretava erano per lo più aristocratiche e sfarzose (Grand Hotel…) i personaggi che le ruotavano intorno appartenevano al bel mondo (conti, duca…) e lei vestiva spesso i panni dell’eroina straniera e sofferente a cui era negata l’amore (Mata Hari, Maria Waleska, Margherita Gauthieur, La regina Cristina, Ninotcha, Anna Karenina…). Si sono scritti fiumi d’inchiostro sui motivi che hanno spinto Greta Garbo ad abbandonare le scene. Proverò a fornire la mia personale interpretazioni sulle cause che hanno condizionato tale scelta.

a) Il 1941 è un anno particolarmente denso di significati. Iniziavano a serpeggiare, infatti la disillusione del crollo del 29 e del “Sogno americano” e s’affacciavano in America gli echi dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Di fronte a questi fantasmi Hollywood reagisce producendo pellicole di vario genere; le commedie demenziali (Gianni e Pinotto) i “saron movie” (il saron è un pareo, veste tipica delle isole salesiane, e diventa il simbolo dei film esotici, ambientati alle Haway con Dorothy Lamour, Esther Williams, Hedy Lamar) ed il noir, genere che attinse la propria vena ispiratrice agli scrittori della Hard-boiled school (Chandler, Hammet, Cain, Woolrich e che produce in quell’anno un capolavoro come Il mistero del falco).

I protagonisti di queste pellicole erano dei “loser”, dei perdenti (gli investigatori privati, i comuni cittadini) dei soggetti incapaci di mutare il corso del destino e trascinati nel vortice delle passioni dalla dark lady di turno. Quelle storie ambientate nelle città americane e non più nelle lontane e sperdute località dei film interpretati della Garbo (Russia, Svezia, Francia) iniziarono a riscuotere sempre più un enorme successo nel pubblico che si identificava con questi personaggi, piegati dal destino.

b) La Garbo era stata una delle poche grandi attrici del muto a resistere all’avvento del sonoro ma, inevitabilmente il suo tipo di recitazione affondava le sue radici nel muto. Del resto i primissimi piani con cui i registi la inquadravano, il tipo di luce che irradiava sul suo viso, lo script che prevedeva la sua costante presenza sullo schermo, riducendo al minimo il ruolo dei comprimari, iniziavano ad essere delle cifre stilistiche datate che non coinvolgevano più il pubblico.

c) Fatta eccezione per Lubitsch (Ninotchka) e per Cukor (che realizzò Margherita Gauthier ma anche il pessimo “Non tradirmi con me” (film che per il suo flop spinse la Garbo al ritiro) gli altri registi che la diressero (George Fitzmaurice in Mata Hari, Edmund Goulding in Grand Hotel, Robert Mamoulian ne La regina Cristina, Clarence  Brown   in Anna Karenina e Maria Walewska) erano per lo più degli onesti artigiani della macchina da presa e non riuscirono ad intercettare il nuovo visual style imperante. Del resto solo dei registi mediocri avrebbero ammesso le imposizioni sul set di una Diva come la Garbo e  non a caso tutti i film citati sono passati alla storia come i film della Garbo e non dei registi che l’hanno diretta.

Il volume di Maria Grazia Bevilacqua approfondisce la vita privata dell’attrice, adombra una sua relazione lesbica con la Dietrich ed è ricca di altri “piccanti” aneddoti a cui riamando il lettore. Un’ultima annotazione; data la fragilità del carattere della Garbo c’è da chiedersi se i ruoli che le sono stati affidati (protagoniste che vivevano a contatto con eroi, conti e marchesi) hanno amplificato ancora di più quel senso di falso sé che lei già viveva dentro di sé. Mentre la Dietrich è diventata l’angelo azzurro ed ha incarnato (sia nella vita che sul set) la donna fatale che seduceva l’uomo e lo polverizzava, la Garbo non è mai diventata né Mata Hari, né la Regina Cristina.

Commenti a parte Greta Garbo resta un mito che resiste nel tempo al punto che un regista di culto come Bernardo Bertolucci, non a caso, inserisce nel suo ultimo film “The dreamers” una breve sequenza tratta da “La regina Cristina”. A me piace ricordarla citando un racconto di Manuel Puig che si chiama “Mia carissima  sfinge”. E’ un breve dialogo immaginato tra Max Ophuls morente nel suo letto d’ospedale…

“Greta, vorrei che l’ultima cosa che vedessero i miei occhi fosse il suo volto. Voglio morire in questo istante”.

21 Febbraio 2004 – Napoli – Senatore presenta il volume: “Greta Garbo” di Maria Grazia Bevilacqua (Baldini e Castoldi)

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