Il Venerdì di Repubblica 2003: I conflitti tra parenti? E’ tutto un cinema

18 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore
Il Venerdì di Repubblica 2003: I conflitti tra parenti? E’ tutto un cinema
Interviste a Senatore
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 “Il Venerdì ” di Repubblica – 14.02.2003

“I conflitti tra parenti? E’ tutto un cinema”

di Federica Lamberti Zanardi

 

Se fra vent’anni si vorrà capire come era la famiglia nei primi anni del Duemila basterà guardare Ricordati di me di Gabriele Muccino per ritrovare il senso di questo tempo. Perché il cinema, come dicono i sociologi, è lo specchio di una società e ne racconta i tic, le mode, le abitudini meglio di chiunque altro. E il microcosmo familiare è un set ideale per poter analizzare le nevrosi, le ossessioni di una generazione. Così di film che raccontano saghe e drammi di generazioni e figli è piena la storia del cinema.

“Ci sono varie rappresentazioni della famiglia. Quella assente di Taxi driver, per esempio, dove il protagonista non dice nulla del suo vissuto familiare: come se l’assenza di riferimenti personali fosse funzionale al desiderio inconscio dello spettatore che i protagonisti potessero sopravvivere facendo a meno delle proprie origini, spiega Ignazio Senatore, psichiatra dell’Università “Federico II” di Napoli, che su cinema e psicoanalisi ha pubblicato due saggi (L’analista in celluloide- La figura dello psicoterapeuta nel cinema- Franco Angeli e “Curare con il cinema – Centro Scientifico Editore).

“C’è la famiglia ridicolizzata di film come Parenti Serpenti o La famiglia Addams, dove la funzione liberatoria risiede proprio nel poter sorridere di gruppi familiari impossibili e sgangherati, rivalutando così la propria situazione reale”.

Quindi che sia assente o terribilmente presente la famiglia ha il ruolo da protagonista in ogni film?

“In un certo senso sì, anche se negli ultimi anni, soprattutto in Italia, più che sulla famiglia, il cinema ha puntato l’attenzione sui conflitti della coppia”, commenta Senatore. “All’estero, invece, stiamo assistendo a una serie di pellicole che raccontano una situazione nuova, multirazziale. In opere comeSognando Beckham c’è la rappresentazione di una famiglia indiana con valori  e abitudini molto simili a quelli dell’Italia degli Anni Cinquanta. Come in Il mio grosso grasso matrimonio greco, che racconta per filo e per segno i riti e le relazioni delle comunità di immigrati ellenici negli Stati Uniti. Sono le cinematografie più giovani ad avere la necessità di soffermare l’attenzione sulle relazioni parentali, sui gruppi di cugini, fratelli, cognati. Perché, spiega Senatore, più un regista è giovane, più è vicino, e quindi interessato, alle dinamiche che nascono all’interno dei gruppi familiari. Non è un caso che sia un regista come Muccino, un trentenne, a parlare oggi di crisi familiare. O che siano registi indiani, turchi, greci a fare i film più divertenti e freschi sull’argomento.Nel cinema anglosassone, invece, lo psichiatra ravvede una tendenza nostalgica a raccontare la famiglia come era e come non può più essere. Come in American beauty, dove Sam Mendez disegna il ritratto di una società agonizzante ma ossessionata dall’american dream.Poi ci sono i film saga. Come La famiglia di Ettore Scola, dove le vicende personali sono l’espediente per narrare la storia di più generazioni. O Il padrino di Francis Ford Coppola dove, attraverso gli amori, gli odi e i tradimenti della famiglia Corleone si analizza l’evolversi della mafia d’oltreoceano.

Ma come è cambiato negli anni il modo di raccontare la famiglia?

“Negli anni Sessanta il cinema ha cercato di svelare l’ipocrisia di certe relazioni. Basti pensare a Signori e Signore, Divorzio all’italiana, Sedotta e abbandonatadi Pietro Germi: capolavori di miserie umane. Poi, con il Sessantotto, c’è stato l’attacco a tute le istituzioni e, quindi, anche alla famiglia. Ecco allora film comeI pugni in tasca di Marco Bellocchio. Negli anni Ottanta il cinema italiano diventa più minimalista, “due camere e cucina”, e la famiglia è raccontata in modo agrodolce come in Mignon è partita di Francesca Archibugi.

E il cinema di oggi che tipo di famiglia racconta?

“Molto variegata. Le relazioni sono molto più complesse e frantumate; divorzi,primi e secondi matrimoni. Ecco, quindi, quella scombinata de I Tenenbaum, dove ogni componente è quasi un caso clinico o quelle ricomposteNemiche-Amiche, dove la prima e la seconda moglie si passano il testimone per amore dei bambini. Ci sono situazioni che assumono significato diverso a seconda della cultura del paese: il figlio trentenne di Tanguy, ben determinato a rimanere in casa è uno scandalo: in Italia è assolutamente normale.

Ma alla fine il cinema riesce a mettere sul tappeto i conflitti,le difficoltà della vita familiare?

“Il vero cinema è fatto di sguardi: sono gli occhi dei protagonisti che comunicano le emozioni profonde. Anche le relazioni familiari sono fatte di sguardi. Ad una madre basta un’occhiata per dire molte cose al figlio. Me ne accorgo in terapia: attraverso gli sguardi passano messaggi molto complessi. Ecco oggi nei film si parla tanto, forse troppo. Ma mancano gli sguardi.”

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