Ignazio Senatore intervista Claudio Giovannesi: “La paranza dei bambini e la perdita dell’innocenza”

13 Febbraio 2019 | Di Ignazio Senatore
Ignazio Senatore intervista Claudio Giovannesi: “La paranza dei bambini e la perdita dell’innocenza”
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E’ “napoletano” l’unico film italiano in concorso, presentato ieri alla 69° edizione della Berlinale e da oggi nelle sale. A firmare “La paranza dei bambini”, tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano, è però il romanissimo Claudio Giovannesi, talentuoso regista quarantenne, autore dei pregevoli “La casa sulle nuvole” (2009), “Alì ha gli occhi azzurri” (2012), “Fiore” (2016) e di “Gomorra La serie 2” (2016),.

Com’è nato l’incontro con questo romanzo?

Me lo ha proposto Roberto e, dopo averlo letto, mi aveva colpito la perdita d’innocenza di questo gruppo di ragazzini che fa una scelta criminale, partendo dall’incoscienza di un gioco. Vittime della società dei consumi, corrosi dal desiderio di avere tutto e subito, iniziano, infatti, ad impugnare le armi come fossero giocattoli, nella completa inconsapevolezza, in un misto di tenerezza e di ferocia. Rispetto al romanzo non mi attirava il crimine, ma la fragilità emotiva di questi personaggi.”

Un film sull’adolescenza deviata da una società che t’impone di comprare magliette e scarpe firmate, orologi da favola e moto costose?

“Anche, ma è soprattutto la storia di un gruppo di adolescenti che vuole conquistare un quartiere. Il loro giovanissimo capo vuole, infatti, ripristinare dove vive una sorta di giustizia, ma la sua è un’illusione perché cerca di fare il Bene attraverso il Male e lo fa nel rispetto delle uniche regole che conosce.”

Come mai l’hai ambientato nel centro storico e non in un quartiere popolare?

Al di là della bellezza dei suoi luoghi, la scelta non è avvenuta per motivi folkloristici, ma dettata dalla consapevolezza che il centro storico di Napoli è popolare ed è l’anima e la vita di questa città.”

La Napoli criminale, paragonata ad una città del Far West, sta diventando, al cinema, ormai un insopportabile e sgradevole brand.

Il mio non è un film su Napoli e l’avrei potuto ambientare a Roma, Milano o a Marsiglia. Non volevo cadere nella trappola di fare un film sociologico, né quella di proporre un viaggio all’interno della criminalità napoletana. Il cinema non deve essere pedagogico. A me interessava narrare quel fatidico passaggio dall’adolescenza alla scelta criminale. Per questo sono stato vicino ai personaggi con un’empatia ed uno sguardo che non era spettacolare, né tanto meno di chi filmava dei criminali. Io non li giudico e spero di essere riuscito a trasmettere questa mia vicinanza allo spettatore.”

La scelta del giovane attore protagonista?

Abbiamo fatto un cast di quattromila ragazzi. Lui lavorava in un bar e ci aveva colpito per il suo viso innocente. La cosa divertente è che non voleva fare il film ed, infatti, non si è presentato al provino. Siamo dovuti andare a casa sua e parlare con i genitori per convincerlo.”

Articolo pubblicato su Il corriere del Mezzogiorno – 13-2-2019

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