La dolce vita, Rocco e i suoi fratelli, L’avventura: tre film cult del cinema italiano degli Anni Sessanta

26 Agosto 2012 | Di Ignazio Senatore
La dolce vita, Rocco e i suoi fratelli, L’avventura: tre film cult del cinema italiano degli Anni Sessanta
Senatore giornalista
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Sono passati cinquant’anni da quando comparvero nel 1960 sul grande schermo tre capolavori del cinema italiano; La dolce vita di Federico Fellini, Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti e L’avventura di Michelangelo Antonioni.

Nel 60 ero ancora un bambino ed il cinema per era popolato solo dai peplum e dai film di Totò. Non ricordo la sequenza temporale con la quale ho visto questi tre capolavori e proverò a commentarli, lasciandomi cullare dai ricordi. Accecato da Lo sceicco bianco, il film che più amo di Fellini, vidi, poi, La dolce vita. Il cinema visto con gli occhi di un regista che amava quel mondo, ma lo irrideva e lo smontava dal suo interno, mi divertì, mi incuriosì ma non mi entusiasmò più di tanto.

Rocco e i suoi fratelli lo sentii, invece, più vicino alle mie corde. Da meridionale aderii subito ai tormenti di quei poveri e sfortunati emigrati, costretti ad abbandonare la loro terra per elemosinare un lavoro al Nord. Non dimenticherò mai la scena dei fratelli che, sotto la pioggia, varcano con il loro carretto ricolmo di bagagli e cianfrusaglie l’anonimo e gelido cortile di un caseggiato ed il caustico e sprezzante commento di una signora milanese che, vedendoli in lontananza, li indica e, causticamente, ad un’amica sussurra: “Africa!”.  Del film mi colpì l’intensità della narrazione, mi innamorai del modo con cui Nadia, seduttivamente, spingeva sulla punta del naso gli occhiali da sole, ma detestai le cadute melodrammatiche della vicenda ed il finalino un po’ troppo scolastico e retorico.  

M’imbattei poi  ne L’avventura, grazie all’amore che nutrivo per Wim Wenders e per quel cinema definito antinarrativo. Antonioni mi fulminò per il modo di rappresentare il paesaggio, che non fungeva più da cartolina ma da supporto alle emozioni dei personaggi, e per la sua scelta di non immergersi nel giallo di fronte alla scomparsa di una delle protagoniste. A distanza di cinquant’anni tantissimi registi hanno riproposto le atmosfere e le inquietudini care a questi tre capolavori. Da un punto di vista stilistico L’Avventura mi sembra ancora il più moderno ed il meno datato dei tre. Rocco e i suoi fratelli e La dolce vita restano, invece, dei sorprendenti affreschi di un’ Italia che fu. Tre capolavori inimitabili che molti registi, con scarso successo, hanno più volte provato a farne il verso. Se scorriamo le pellicole prodotte nel 2010 dal cinema italiano quali pellicole saranno considerate nel 2060 resisteranno all’usura del tempo e saranno considerati ancora dei capolavori?

Sono passati cinquant’anni da quando comparvero nel 1960 sul grande schermo tre capolavori del cinema italiano; La dolce vita di Federico Fellini, Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti e L’avventura di Michelangelo Antonioni.

Nel 60 ero ancora un bambino ed il cinema per era popolato solo dai peplum e dai film di Totò. Non ricordo la sequenza temporale con la quale ho visto questi tre capolavori e proverò a commentarli, lasciandomi cullare dai ricordi. Accecato da Lo sceicco bianco, il film che più amo di Fellini, vidi, poi, La dolce vita. Il cinema visto con gli occhi di un regista che amava quel mondo, ma lo irrideva e lo smontava dal suo interno, mi divertì, mi incuriosì ma non mi entusiasmò più di tanto.

Rocco e i suoi fratelli lo sentii, invece, più vicino alle mie corde. Da meridionale aderii subito ai tormenti di quei poveri e sfortunati emigrati, costretti ad abbandonare la loro terra per elemosinare un lavoro al Nord. Non dimenticherò mai la scena dei fratelli che, sotto la pioggia, varcano con il loro carretto ricolmo di bagagli e cianfrusaglie l’anonimo e gelido cortile di un caseggiato ed il caustico e sprezzante commento di una signora milanese che, vedendoli in lontananza, li indica e, causticamente, ad un’amica sussurra: “Africa!”.  Del film mi colpì l’intensità della narrazione, mi innamorai del modo con cui Nadia, seduttivamente, spingeva sulla punta del naso gli occhiali da sole, ma detestai le cadute melodrammatiche della vicenda ed il finalino un po’ troppo scolastico e retorico.

M’imbattei poi  ne L’avventura, grazie all’amore che nutrivo per Wim Wenders e per quel cinema definito antinarrativo. Antonioni mi fulminò per il modo di rappresentare il paesaggio, che non fungeva più da cartolina ma da supporto alle emozioni dei personaggi, e per la sua scelta di non immergersi nel giallo di fronte alla scomparsa di una delle protagoniste.

A distanza di cinquant’anni tantissimi registi hanno riproposto le atmosfere e le inquietudini care a questi tre capolavori. Da un punto di vista stilistico L’Avventura mi sembra ancora il più moderno ed il meno datato dei tre. Rocco e i suoi fratelli e La dolce vita restano, invece, dei sorprendenti affreschi di un’ Italia che fu. Tre capolavori inimitabili che molti registi, con scarso successo, hanno più volte provato a farne il verso. Se scorriamo le pellicole prodotte nel 2010 dal cinema italiano quali pellicole saranno considerate nel 2060 resisteranno all’usura del tempo e saranno considerati ancora dei capolavori?

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