La fossa dei serpenti di Anatole Litvak – USA – 1948- B/N – Durata 108’

17 Marzo 2019 | Di Ignazio Senatore
La fossa dei serpenti di Anatole Litvak – USA – 1948- B/N – Durata 108’
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Una donna, ricoverata al Juniper Hill Hospital è in preda a delle terribili allucinazioni visive. Un flashback ci riporta indietro nel tempo e scopriamo che la giovane ricoverata è Virginia Stuart (Olivia de Havilland)  un’aspirante scrittrice. In una piccola casa editrice di Chicago conosce Robert Cunningham, un brillante giovanotto con cui si lega affettuosamente. Trasferitisi a New York, per la giovane coppia di sposi, le cose sembrano andare per il meglio. Virginia inizia a soffrire dapprima d’insonnia e poi di strane amnesie. Crollata psicologicamente, è ricoverata in una clinica psichiatrica. Il dottor Kirk decide di sottoporla all’ESK-terapia. Il dottore, non appena intravede i primi miglioramenti nella paziente, interrompe l’ESK terapia e la sottopone alla narcosintesi con l’intento di “scavare” nel suo passato. Nel corso di uno di queste sedute Virginia gli racconta che da piccola era molto legata a suo padre e che aveva un pessimo rapporto con la madre, una donna dura ed anaffettiva. A seguito di una banale lite con il padre, lei aveva sentito dentro di sé il bisogno di “punirlo” per il suo comportamento e fantasticata la sua morte. “Naturalmente” la fantasia si era tradotta in realtà e, dopo la morte del genitore, si era trovata a vivere con l’“odiata matrigna”. Nel corso delle sedute successive, Virginia gli narra del suo innamoramento per Gordon, un suo spasimante, rimasto vittima, a sua volta, di un drammatico incidente stradale. Avendo immaginato di essere stata la responsabile di questa ennesima “fatalità, sommersa dai sensi di colpa, si era “rifugiata” nella pazzia. Grazie alle cure dell’amorevole dottor Kirk, Virginia ne uscirà vittoriosa.

Al di là degli sviluppi della trama e delle riletture “edipiche” che sono alla base della malattia di Virginia, quello che colpisce maggiormente è l’ambientazione stessa del film. Come evocato brillantemente nel titolo, il manicomio nel quale viene ricoverata la protagonista è una “fossa di serpenti”, un luogo invivibile, paragonabile più ai gironi danteschi che ad un luogo di cura. Film crudo e di denuncia, che non fa sconti a nessuno. I medici dell’istituto (tranne l’amorevole dottor Kirk), responsabili del clima di degrado e d’abbandono dell’intero istituto, quando non intervengono con gli strumenti del terrore a loro cari (camice di forza, ESK….) sono descritti come distanti emotivamente dai loro ammalati, saccenti ed anaffettivi. Livtak ci mostra impietosamente lo stato di regressione nel quale versano le pazienti (vestite con un’identica casacca carceraria, scapigliate e con lo sguardo fisso nel vuoto). Il  luogo di “cura”, diviso per reparti (secondo il grado di malattia delle ricoverate) è composto di celle spoglie, buie, prive di suppellettili ed arredato da solide sbarre alle finestre. Film che descrive il manicomio più disumanizzante di tutta la storia del cinema. Peccato per il banale finale in stile happy-end, impaginato in maniera fredda e sbrigativa. Seppur candidato a ben 5 Oscar, il film non ne raccolse nessuno. Tratto dal romanzo di Maria Jane Ward.

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