La mia vita in rosa di Alain Berliner – Belgio – 1997- Durata 82’

15 Marzo 2019 | Di Ignazio Senatore
La mia vita in rosa  di Alain Berliner – Belgio – 1997- Durata 82’
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Pierre (Jean-Philippe Ecoffey) ed Hanna (Michèle Laroque) si trasferiscono con la loro allegra e felice famigliola in un’altra cittadina.

Nel corso di un cocktail, offerto ai loro vicini, presentano i loro figlioli. All’appello manca Ludovic (Georges Du Fresne) il loro bambino di sette anni che quando compare in pubblico é vestito e truccato da donna.

I genitori non danno peso a quello che per loro è stato solo uno scherzo innocente e quando nonna Elisabeth cerca di indagare sui comportamenti del nipote, la madre con tono liquidatorio, commenta: “Fino ai sette anni si è alla ricerca di se stessi. L’ho letto su Marie Claire.”

Ludovic inizia a frequentare la scuola e quando la maestra chiede agli alunni di portare in classe i loro giocattoli preferiti, il piccolo protagonista, con estrema naturalezza, estrae dalla cartella le bambole con cui si diletta a giocare.

Oggetto di derisione da parte dei compagni, a Ludovic non resta che immergersi nel mondo fiabesco di Pam, un’eroina in stile Barbie, protagonista di un serial televisivo. Con il passare del tempo, Ludovic non sembra recedere dalle proprie “scelte” e si rifiuta di cambiare quella pettinatura “a caschetto” a cui è molto affezionato.

Di fronte a questi suoi atteggiamenti, il papà sembra voler adottare un comportamento più deciso ed intransigente ma la madre gli suggerisce di attendere fiduciosamente l’evoluzione degli eventi.

Un giorno Ludovic, candidamente, comunica alla madre la sua decisione: da grande sposerà Jerome, il figlio del datore di lavoro del padre. Solo allora, Pierre ed Hanna decidono di consultare una psicologa che, nel corso delle sedute, non riesce a cavare un ragno dal buco.

Nel frattempo la situazione precipita. Ludovic è pestato nella palestra dai suoi compagni di classe e successivamente, su pressione dei genitori bigotti, allontanato dalla scuola.

Pierre viene licenziato ed in un crescendo sempre più inquietante, sul muro della loro casa compare la scritta “Vattene, finocchio“. L’intera famiglia si trasferisce a Clermont Ferrand dove ritrova l’armonia di un tempo.

E quando Ludovic si presenta alla festa di Christine, vestito da moschettiere, non resiste al suo invito di cambiarsi d’abito e di indossare quello di reginetta.

La madre lo rimprovera aspramente e lo schiaffeggia alla presenza degli invitati,  ma deve far marcia indietro quando la stessa Christine confessa  di essere stata l’artefice dello scambio d’abito. Il film termina con …

Film sull’etica educativa e sulla genuinità e l’innocenza dei sentimenti che non possono essere traditi.

Opera prima del belga Alain Berliner, a cui va riconosciuta la straordinaria capacità di trattare, con estrema leggerezza, un argomento così drammatico e delicato.

Ispirato ad un racconto di Chris Van der Stappen, la pellicola è sempre in bilico tra sogno e realtà, tra dramma e commedia. Venato da una sottile vena melanconica, il film è impreziosito da qualche spruzzatina di humour (il candido Ludovic scambia un banale mal di pancia con il segnale delle desiderate mestruazioni….).

Il regista indugia (forse) un po’ troppo sull’innocenza di Ludovic e sulla sua incapacità a comprendere i risvolti emotivi e relazionali legati alla sua “particolare” condizione.

Berliner, infatti, nel corso di tutta la durata del film, non regala mai al piccolo protagonista un attimo di esitazione, di incertezza, di dubbio sulla propria identità sessuale.

I genitori, infine, appaiono, fin troppo “comprensivi” ed incapaci difensivamente di accedere alle loro emozioni.

Nel complesso, però, il film è tenero ed affronta senza volgarità, né pregiudizi, il problema della “scoperta” dell’omosessualità infantile.

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