La pratica psicoanalitica

18 Gennaio 2014 | Di Ignazio Senatore
La pratica psicoanalitica
Senatore giornalista
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Dopo le celebrazioni di Roma e Trieste, anche Napoli si appresta a “festeggiare” i cinquant’anni dalla fondazione della Rivista di Psicoanalisi. Sabato 6 novembre, nella prestigiosa  cornice dell’Istituto per gli Studi Filosofici, si terrà l’incontro sul tema “I luoghi dell’interpretazione”. Ad aprire i lavori del mattino, Olga Pozzi, psicoanalista didatta della SPI. “Il tema scelto per l’incontro vuole essere un omaggio alle diverse anime che hanno attraversato la Rivista in questi ultimi anni. Accanto agli articoli dal sapore più specificatamente di ordine clinico e teorico, la Rivista ha sempre avuto un taglio interdisciplinare ed ha trattato i rapporti della psicoanalisi con le neuroscienze, da un lato e con la letteratura e la filosofia dall’altro. Non è un caso che sabato mattina Agostino Ragalbuto (il direttore della Rivista) saranno affiancati da personaggi del mondo della cultura come Francesca Borrelli. La Rivista di Psicoanalisi, in verità, fu fondata da Edoardo Weiss e Levi Bianchini, intorno al 1925-1932 e che la stessa fu poi messa a tacere nel periodo fascista. La Rivista fu poi rifondata da Cesare Musatti e dal suo gruppo circa cinquant’anni fa e da allora è sempre stato l’organo ufficiale della Società Psicoanalitica Italiana (SPI). Nel corso di questi decenni la Rivistaha ospitato contributi di diversi psicoanalisti ed in qualche caso anche di studiosi, non iscritti alla stessa Società, come Mario Lavagetto.” Pochi lo sanno ma dalla costola della stessa Rivista è nata “Psiche”, altro spazio teorico d’approfondimento (accreditata quanto la prima e diretta da Lorenza Preta) che ospita in maggioranza articoli da un taglio più interdisciplinari che clinici. “Su queste due Riviste, rassicura la dottoressa Pozzi, non hanno mai aleggiato minacce di scissioni, non sono si sono mai scatenate battaglie ideologiche, querelle e dispute particolarmente accese. Lo statuto prevede, infatti, una rotazione a tempo e così, in tutti questi anni, si è evitato il formarsi di gruppi forti di “potere” e la cristallizzazione del dibattito interno.”

Il discorso si sposta, inevitabilmente, dalla Rivista ai cambiamenti che hanno attraversato in questi ultimi cinquant’anni la stessa pratica psicoanalitica. “Certamente la psicoanalisi è cambiata come la società che le gira intorno e sono mutate le richieste che ci giungono dall’esterno. L’orientamento generale di tutti gli psicoanalisti è quello di ridurre il numero delle sedute settimanali da quatto a tre, ed in alcuni casi anche a due. Ma non è possibile generalizzare e varia da caso a caso. Non è poi neppure vero quello che spesso si sente dire in giro e cioè che la gran parte dei pazienti che abbiamo in trattamento è composto solo dai futuri psichiatri. E’ vero che noi lavoriamo anche con quelli che saranno gli “strizzacervelli” del domani ma sono soprattutto i pazienti che chiedono di essere presi in cura.” Tempi duri per la pratica psicoanalitica, accerchiata dalla pressione delle case farmaceutiche (orientate a ridurre la mente umana ad un fascio di neuroni) dalle diverse teorie genetiche sulla malattia mentale (ipotesi ancora del tutto vaghe e non ancora testate scientificamente) ma soprattutto dall’irrompere di una nuova modellistica del pensiero, di stampo americano che è la “famigerata” terapia cognitivo-comportamentale. Il risultato è davanti agli occhi di tutti. Non c’è giorno che non compaia un nuovo volume o articolo di giornale che ci promette la felicità. Il “Prozac”, l’antidepressivo denominato poeticamente “bye, bye blues” non ha, di certo, sconfitto la depressione. E’ di questi giorni l’immissione sul mercato italiano di un farmaco (il Rilatin) da prescrivere ai bambini troppo irrequieti e pestiferi. Un business di miliardi. E che dire dei consigli che si trovano in ogni settimanale per ridurre lo stress, per sconfiggere noia e depressione ed abbattere il logorio della vita moderna? Esercizi, compitini, frasi da rimandare meccanicamente alla mente, derivati tutti (ahinoi) dal quel becero modello meccanico della mente di stampo jankee.  “La psicoanalisi è una moda tenuta in piedi dall’industria dei divani”, affermava un tempo, quel genio dissacratore di Woody Allen. Sarà, ma a noi piace ancora pensare che insieme alla terapia familiare, la psicoanalisi resta l’unico modello che ci permette ancora di “sognare” e di comprendere la mente umana.

L’Articolo – Redazione napoletana de L’Unità .6.11.2004

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