Napoli e la felicità

21 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore
Napoli e la felicità
Senatore giornalista
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Partenope era una sirena che cantava così soavemente che i naviganti si addormentavano al suo canto. Ulisse, per non privarsi di quel piacere  turò, con la cera, le orecchie dei suoi compagni e si fece legare all’albero della nave. Partenope, disperata perché respinta da Ulisse, si gettò sul fondo del mare e sul quel luogo fu fondata la futura Neapolis.  In questo mito delle origini c’è già tutto il destino di Napoli. Ma,  tralasciando l’infausto mito, Napoli può essere una città felice? Ne hanno discusso ieri all’Istituto per gli Studi Filosofici, nell’ambito delle manifestazioni del decennale del’Arte della felicità, ideata da Luciano Stella e Francesca Mauro, il giornalista Antonio Polito, il sociologo Luciano Brancaccio e Marco Manetti, uno dei Manetti Bros, regista del divertente ed acclamato Song e Napule che, a riguardo, ha affermato: “Napoli e la felicità, sono due termini che associo con grande facilità. Per il senso di felicità che mi travolge ogni volta che ci vengo e perché credo che la felicità sia un sentimento complesso, che non è connesso all’ordine ed al benessere. Napoli non è forse la città più felice del mondo ma lo è certamente di più di una città Svizzera. Quello che amo dei napoletani è quello che definirei la “svergognatezza”, la mancanza di pudore verso i propri sentimenti ed anche se non sono convinto che a Milano non convivano meglio di Napoli con la criminalità, credo che forse il napoletano sottolinei un po’ troppo i difetti legati alla propria terra. Un francese non lo farebbe mai.”

Articolo pubblicato il 29-9- 2014 su Il Corriere del Mezzogiorno

 

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