Ignazio Senatore intervista Alessandro D’Alatri

13 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore
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Come tanti registi italiani, Alessandro D’Alatri si è fatto le ossa con la pubblicità. Chi non ricorda i suoi spot  della Paraflu, della Kodak (in stile “Blade Runner” e con l’indimenticabile ometto che ripeteva Ciribiribì Kodak) della Sip (interpretato da massimo Lopez e con lo slogan: “Il telefono ti allunga la vita) o quelli laccati della Barilla?  E’ del 1991 il suo esordio al cinema.“Americano rosso” film ambientato in Veneto, negli Anni Trenta, all’epoca del fascismo, raccolse unanimi consensi.

“Il film fu accolto bene dalla critica. Non mi considero un talent-scout ma in quel film recitavano Fabrizio Bentivoglio, Sabrina Ferilli e Massimo Ghini. Si sente dire sempre in giro che in Italia mancano gli attori. La verità è che manca il coraggio di scoprirli e di credere in loro ed è per questo che mi  piace lavorare con attori inutilizzati od esordienti. Sono contento di fare da avanguardia.”

Anche in “Senza pelle”, il tuo film successivo affidasti il ruolo di Saverio ad un giovanissimo Kim Rossi Stuart

“In quel film Kim fu straordinario, si calò così tanto nel personaggio che interpretò, al punto che le lettere e le poesie che compaiono nel film, le scrisse lui di suo pugno.”

Il film, presentato fuori concorso al Festival di Cannes nel 94 e fu premiato al Festival di Locarno dal pubblico come miglior film e sconfisse  pellicole come “Pulp fiction” e “Tre colori: Film Rosso” Quel’era il segreto del film?

“Credo che piacque perché era un film sincero che racconta come nella vita di una famiglia normale”, irrompa all’improvviso Saverio, un “diverso” che li costringerà a guardarsi dentro. L’espressone “senza pelle”, è diventata oggi di senso comune, proprio grazie al mio film.”

Dopo un film pensato come “Senza pelle” ed il successivo “I giardini dell’Eden”, dal sapore mistico, sei passato alla commedia.

“Anche “Senza pelle ” lo possiamo considerare, per certi aspetti, una commedia non tradizionale. Non sono omologabile e faccio fatica a dire che i miei film sono delle commedie. Credo che il “politicizzato” ed “autoriale” allontani gli spettatori dalle sale. Il cinema deve ritornare ad essere popolare e a dire delle cose, facendo divertire gli spettatori.

Ne “La febbre”, il tuo ultimo film c’è Fabio Volo, attore che avevi già lanciato in “Casomai”, il tuo film precedente…

“Fabio lo ascoltavo quando faceva la radio e mi faceva molto divertire. Poi l’ho visto alle Iene e mi era piaciuto anche il libro che aveva scritto. Lo contattai e gli chiesi di fare un provino. Lui continuava a ripetermi: “Ma dai, ho la terza media, se mi metto a fare anche l’attore mi salteranno tutti addosso”.

Per la sua interpretazione in Casomai”, Fabio ebbe la nomination al David di Donatello. Dopo “La febbre” adesso cammina sulle sue gambe da solo.”

Ne “La febbre” compare anche una bellissima Valeria Solarino.

“Avevo bisogno di una ragazza del Sud. Lei aveva già lavorato al teatro con Ronconi ed al cinema ne la “Fame chimica “ di Bocola e nel film di Veronesi “Che ne sarà di noi”. Mi serviva una che sapesse ballare ma quando le feci il provino fu un vero disastro, al punto che due cubiste l’hanno insegnato come muoversi.

Il film è andato bene nelle sale…

“Il pubblico lo ha amato nonostante la scarsa pubblicità ed il fatto che essendo stato finanziato anche dalla Rai non è stato ospitato per la promozione in nessuna trasmissione della Rai. Mi divertiva l’idea di ambientarlo in una città come Cremona, una delle province padane, anche perché la Padania non è solo quella di Bossi. Cremona è il nostro Texas, è una città dove non c’è una collina e mi piaceva anche per il suo nome un po’ onomatopeico. L’ho ambientato lì perché e una provincia ricca e benestante dove il problema della ricerca del lavoro non c’è.”

 

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