Antigone di Sophie Deraspe – Canada – 2019 – Durata 109’

21 Aprile 2022 | Di Ignazio Senatore

A soli tre anni la piccola Antigone vede i corpi dei genitori uccisi. Con la nonna Hemon, i fratelli Eteocle e Polinice e la sorella Ismene dall’Algeria vola in Canada.

Passano gli anni e la diciassettenne Antigone, studentessa modello, premiata per un suo componimento, rapisce il cuore di Emone, figlio di Christian, noto politico locale. Lei vive in armonia con il gruppo familiare ma Polinice è uno sbandato e spaccia e vive di furti.

La polizia lo arresta e mentre i poliziotti lo bloccano a terra, Eteocle, il fratello maggiore, è ucciso da un colpo di pistola sparato da un agente.

Antigone, spezzata dentro, non sa darsi pace e, quando le comunicano che Polinice sarà estradato in Algeria, comprende che, senza l’affetto dei familiari, una volta ritornato nella terra d’origine, lui si perderà definitivamente.

Decide allora di tirarlo fuori dal carcere e, rasati i capelli alla maschietto e impressi (temporaneamente) sulle proprie braccia i suoi identici tatuaggi, si sostituisce a lui. Polinice fugge negli States e Antigone, scoperta, è arrestata. Lei si dichiara colpevole e vuole difendersi da sola, ma lo Stato le impone un avvocato d’ufficio.

Anche grazie ad Emone, che tappezza la città di graffiti con il suo volto in rosso, i giovani adolescenti in Rete si schierano al fianco di Antigone, manifestano fuori il carcere e, finanche le altre detenute, in segno di solidarietà, si tingono i capelli di rosso. Inizia il processo e…..

Non era impresa facile trasportare sul grande schermo l’omonimo capolavoro di Sofocle. Ci riesce, con successo, la regista canadese Sophie Deraspe, che ha dichiarato di essersi ispirata anche a una storia vera.

Rispetto all’opera di Sofocle, la regista, pur confermando i nomi originali dei protagonisti della tragedia, apporta alcune sostanziali differenze.

Innanzitutto traspone la vicenda ai giorni nostri; elimina poi la figura di Creonte, lasciando che il Potere sia incarnato dallo Stato; lascia che Antigone sfidi egualmente la Legge ma, in luogo del trasgredire il divieto di dare sepoltura al fratello ucciso, organizza l’evasione di Polinice e, soprattutto, non chiude la vicenda con il suicidio della protagonista, ma s’affida, dopo un inatteso colpo di scena, ad un palpitante finale aperto.

Al di là di una regia calibrata alla perfezione, della convincente interpretazione dei protagonisti (su tutti la giovanissima Nahéma Ricci nei panni di Antigone), degli adrenalinici e coloratissimi  inserti  che strizzano l’occhio ai videoclip e dei travolgenti brani musicali, questo film intenso e commovente, deve la sua forza nell’interrogativo principe che sottende la trama.

E’ più giusto osservare le leggi che regolano la vita civile o battersi per difendere la propria famiglia? Non a caso, in una scena simbolo, che di fatto apre il film, Antigone e i familiari sono a tavola; prima di pranzare, Eteocle recita una preghiera nella quale si auspica che i genitori defunti e i parenti li proteggano.

Antigone, nel rispetto della tradizione, aggiunge poi un eloquente “teneteci uniti”, che il fratello aveva omesso di pronunciare. Ed è proprio questo l’imperativo che la spinge, dopo l’assurda e tragica morte di Eteocle ad anteporre i propri interessi personali a quelli del fratello in galera.

In una scena simbolo, quando il padre di Emone le chiede come mai, nonostante i crimini commessi da Polinice, per aiutarlo continui a sacrificare la propria libertà, lei, con voce ferma, gli, risponde:

Quando mi viene il dubbio se questa sia la cosa giusta, ripenso al bambino, al piccolo Polinice che tende le braccia per essere preso ma non c’è nessuno a prenderlo perché non ha più i genitori.”

Alle Leggi di uno Stato gelido, spietato e implacabile, che ha ucciso Eteocle a sangue freddo e nel fiore degli anni, Antigone contrappone l’amore per Polinice, un orfano, cresciuto senza l’affetto dei genitori, costretto, come i componenti della sua famiglia, a vivere, da immigrato, in un Paese diverso culturalmente e lontano mille miglia dalle proprie radici.

Ho infranto la legge, ma lo rifarei. Il cuore mi dice di aiutare mio fratello” è quanto afferma in tribunale e questa sua dichiarazione centra in pieno le corde giovani della Rete che la eleggono a paladina degli affetti, trasformandola in un’eroina che si batte da sola contro uno Stato insensibile, regolato da Leggi che non tengono conto di emozioni e sentimenti.

Ed è proprio in questo contrasto tra cuore e ragione, irrazionalità e razionalità l’aspetto innovativo di un film che tiene lo spettatore avvinto dall’inizo alla fine.

Un film che, invece di riproporre l’ennesimo sfaldamento del nucleo familiare, rispolvera valori ormai quasi anacronistici come solidarietà, fratellanza, appartenenza, sostegno. A rinforzare l’adesione della regista alla tragedia di Sofocle la presenza di una psichiatra cieca in luogo dell’indovino Tiresia.

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