Dove non ho mai abitato di Paolo Franchi – Italia -2017 – Durata 97’

5 Aprile 2018 | Di Ignazio Senatore

Francesca (Emmanuelle Devos), dimentica della professione di architetta, vive da tempo a Parigi con il marito facoltoso banchiere, e Lena, la figlia adolescente. E’ il compleanno del padre Manfredi (Giulio Brogi), famoso architetto e  Francesca lo raggiunge a Torino. Ma lui si frattura un femore e lei decide di rimanere qualche giorno al suo fianco. Manfredi non ha mai digerito che lei abbia mollato la professione e la inserisce nel progetto di costruzione di una villa, affidato all’esperto e talentuoso  Massimo (Fabrizio Gifuni), suo pupillo. Francesca, a poco a poco, si lascia travolgere dal lavoro. Ma il suo cuore si sta anche infiammando per Massimo, un uomo solitario che, stancamente, tiene in piedi una relazione con Sandra.

Franchi, regista dallo sguardo europeo, alla sua quarta regia, dopo essere stato ingiustamente massacrato dalla critica nostrana, diserta (e fa bene!) i festival italici e più che “scandalizzare”, come ha fatto in passato, critica e pubblico, fedele ai dettami di una cinema classico, fondato su una narrazione lineare e priva di salti temporali, impagina un melò elegante e ben costruito che rimanda ai classici di Douglas Sirk e ad un certo cinema sentimentale (ed anche strappalacrime) nostrano. Il regista bergamasco s’ispira ai ritratti femminili di Anton Cechov e di Henry James e, senza tradire il suo cinema, popolato di personaggi anedonici, rinunciatari e carenti su un piano affettivo, mette in campo Francesca a Massimo, due creature algide, simili come due gocce d’acqua, che hanno scelto di trascorrere la propria vita al riparo da fremiti e sussulti, prediligendo un’esistenza tranquilla, piatta e senza scosse.

Come Valeria, l’indimenticabile protagonista de La spettatrice, (fulminante film d’esordio di Franchi), anche Francesca, è un “cuore in inverno”, incapace di accedere alle proprie emozioni e di accettare dentro di sé l’idea di un matrimonio ormai al capolinea e di una professione (che ama) gettata alle ortiche (forse) senza un vero perché. Nel dar voce a dei sentimenti che fino ad allora aveva represso, in un impeto improvviso, si rivolge a Massimo e gli chiede: “Tu hai mai fatto follie per amore, ma quelle vere, senza pensare alle conseguenze?”

Come tutte le eroine di Franchi, certa che nessun gesto può cambiare la propria esistenza, anche Francesca soffocherà sul nascere l’incendio che le divampa nel cuore e trasformerà la passione in un fuoco che presto diventerà cenere. Massimo non le è da meno e simile a Bruno, (il protagonista di Nessuna qualità agli eroi) ed a  Dino (de E la chiamano estate), silente emotivamente, non è in grado di costruire delle relazioni affettive significative. Con un pizzico d’amaro in bocca, nel corso della vicenda, dopo aver scoperto il gelo che è dentro il suo cuore, al fratello, confiderà: “So solo capace di costruire case per gli altri.”

In Dove non ho mai abitato compaiono, inoltre, altre ossessioni presenti nelle precedenti pellicole del regista bergamasco. Innanzitutto Franchi ambienta ancora una volta la storia in una gelida Torino e lascia che la vicenda ruoti nuovamente intorno alla presenza di genitori famosi, scomodi ed ingombranti che condizionano negativamente, fino a soffocarla, la vita dei malcapitati figli.

Se in Nessuna qualità agli eroi Bruno era schiacciato dal peso del padre famoso pittore, e Luca, da quello di un papà banchiere, arido ed usuraio, anche Francesca deve fare i conti con Manfredi, una vera star nel suo campo, amato e temuto da tutti per il prestigio internazionale acquisito negli anni. In questa storia profondamente borghese, (dove Francesca, la figlia ed il marito si esprimono spesso in francese), che mette nuovamente al centro il tema della creazione artistica, Franchi regala (forse) un finale po’ troppo scontato. Come nei precedenti (La spettatrice e ne E la chiamano estate) Franchi, “paradossalmente” abdica alle immagini e lascia che uno dei protagonisti denudi la propria anima, svelando “imprudentemente” in una lettera (commovente ed accorata) le emozioni fino ad allora celate.

Il sesso, filmato “senza veli” nelle pellicole precedenti e mostrato fondamentalmente come un’istanza “malata” e compulsiva di cui sono vittime i protagonisti maschili, in questo film è lasciato, invece, fondamentalmente fuori campo ed assume i contorni dell’incontro di due corpi che desiderano unirsi e fondersi romanticamente insieme. In un cast oleato alla perfezione primeggia una magnetica Emanuelle Devos In gran spolvero Brogi e Gifuni,  piacevoli sorprese i giovanissimi Giulia Michelini e Fausto Cabra. Cameo di Valentina Cervi. Colonna sonora di Pino Donaggio, Naike Rivelli canta “Paradidse”.

Recensione pubblicata su Segno Cinema  – N. 210- Marzo- Aprile 2019

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