Il mio nome è Khan di Karan Johar – India – 2010 – Durata 165′

16 Luglio 2022 | Di Ignazio Senatore
Il mio nome è Khan di Karan Johar – India – 2010 – Durata 165′
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Il piccolo Rizwan Khan (Tanay Chheda), musulmano indiano, vive a Bombay con l’amorevole madre ed, essendo strambo e sempre con la testa tra le nuvole, é vittima degli scherzi e degli  sberleffi dei compagni di gioco. Un giorno il cortile del palazzo dove abita si allaga e lui, senza perdersi d’animo, costruisce una pompa aspirante, collegata alla bicicletta e, in poco tempo, lo svuota. Timido e impacciato, nelle prime battute del film, dichiara: “Mia cognata Hasina era di Brooklyn ed era una professoressa di psicologia. E’ stata la prima a capire cosa non andasse in me ed a notare che avevo paura delle persone e dei posti nuovi, del giallo, dei rumori forti ed è riuscita a darli un nome. Tutte le mie diversità erano riassunte in due parole: sindrome di Asperger.”

Alla morte della madre Khan (Shah Rukh Khan), divenuto adulto, si trasferisce a San Francisco e, grazie al fratello Zakir, diviene rappresentante di una ditta di cosmetici e, non senza qualche difficoltà, gira per la città illustrando a parrucchiere ed estetiste i pregi e i limiti dei prodotti che propone. In uno dei tanti giri per la città s’imbatte in Mandira (Kajol)  un’affascinante parrucchiera hindu. Mandira, un matrimonio fallimentare alle spalle e madre di Sameer (Arjan Aujlia), un bambino problematico, resta folgorata dalla sua simpatia e inizia a frequentarlo. Tra i due scatta la scintilla dell’amore e, dopo qualche tempo, si sposano. L’attentato dell’11 settembre scuote l’opinione pubblica americana e la maggior parte degli indiani musulmani sono vittime di offese e sopraffazioni. A farne le spese è il piccolo Sameer, pestato a morte da un paio di bulli. Mandira accusa Khan di essere responsabile della morte del piccolo, perché musulmano ed, in un impeto di ira, dopo avergli confessato che non vuole più vederlo, gli dice: “Perché non vai dal presidente degli Stati Uniti e gli dici che il tuo nome è Khan e che non sei un terrorista?”. Khan non se lo fa ripetere due volte e, prendendo alla lettera le sue parole, si mette sulle stracce  del presidente degli Stati Uniti e quando lo intravede da lontano, mentre é in visita in una cittadina, gli urla la frase suggerita da Mandira. Scambiato, anche in virtù del suo comportamento sospetto, per un terrorista, è arrestato. Dopo aver subito degli estenuanti interrogatori e trascorso quindici giorni in cella, è scagionato e …

Ispirata ad una storia vera accaduta ad un musulmano all’aeroporto di Newark, la pellicola strizza l’occhio al cinema made in Bollywood ed è idealmente divisa in due parti; ironica, divertente la prima, tragica e cupa dopo la morte del piccolo Sameer.

Il regista nelle prime battute del film, mostra Khan in viaggio, alla ricerca di incontrare il presidente degli States, mentre scrive una lettera alla moglie: “Nel libro “Menti differenti” il dottor Loweky ritiene che i portatori di sindrome di Asperger, come me, non riescono ad esprimere i sentimenti con le parole mentre possono riuscirci, scrivendo. Capisci, io posso riempire migliaia di pagine, scrivere milioni di volte “ti amo”, purtroppo però non sarò mai capace di dirtelo.”

Johar fa largo uso di flashback e, senza ridurre il personaggio di Khan ad una macchietta, lo descrive come un uomo dall’animo buono, incapace di relazionarsi adeguatamente con le altre persone e vittima di una serie di paure immotivate. In una scena simbolo, dopo essere incappato in un bus giallo e in delle strisce pedonali (gialle), totalmente frastornato, si blocca in mezzo alla strada e rischia di finire sotto un tram. Il film, che avrebbe meritato un bel taglio in fase di montaggio, è godibile nella prima parte e la love story tra Khan e la bella Mandira è gustosa. Il viraggio nel drammatico appesantisce la pellicola ed il regista si spende troppo nello sbandierare ai quattro venti che essere musulmano non significa essere terrorista.

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