Mumford di Lawrence Kasdan – USA- 1999- Durata 112’

15 Marzo 2019 | Di Ignazio Senatore
Mumford di Lawrence Kasdan – USA- 1999- Durata 112’
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Un giovane e simpatico psicologo di nome Mumford (Loren Dean) sbarca nell’omonima e piccola cittadina statunitense.

Grazie alla faccia da bravo ragazzo, ai suoi modi gentili e al suo approccio clinico  poco convenzionale (interrompe le sedute prima del tempo, perde la pazienza quando ascolta storie trite e ritrite) riesce, nel giro di poco tempo, a far il pieno dei pazienti della zona.

Nel suo studio il solito campionario di personaggi un po’ scoppiati ed incapaci di dar una svolta alla propria vita; Henry (separato dalla moglie che lo ha mollato da anni) un grasso farmacista di mezza età che si nutre delle proprie fantasie erotiche (veste i panni di un ragazzo bello, muscoloso e protagonista d’avventure mozza fiato); Lionel, un avvocato nevrotico e logorroico; Althea, una donna, affetta da “compulsive shopping”; Vanessa, una ragazza magra come un chiodo, ossessionata dal mondo patinato della moda e della pubblicità; Sofie, una giovane paziente divorziata, affetta da “sindrome di affaticamento cronico” e Skip, un giovane ed ingenuo miliardario (padrone della Panda Modem, azienda che sfama quasi tutta la città) incapace di stabilire delle relazioni affettive significative.

Mumford (travalicando ogni regola del setting) “cura” Skip, sotto le mentite spoglie di amico e prende in trattamento Sofie (di cui s’innamorerà come da copione) proponendole di “guarirla” con lunghe passeggiate per la città.

E quando Skip (dopo vari tentennamenti) gli rivela un tormentato segreto (ha creato una bambola a grandezza naturale da lanciare sul mercato) Mumford non regge più all’inganno e gli confessa di non essere uno psicologo, ma un ex impiegato dell’erario, tossicodipendente e con dei precedenti penali. Mumford è condannato dal Tribunale dello Stato, ma non mancherà l’happpy-end finale.

Commediola agro-dolce, a tratti lenta, noiosa e fin troppo prevedibile per lo sviluppo narrativo. 

Il regista sfrutta in questo film due filoni non proprio originali e saccheggiati da anni dagli sceneggiatori americani (un tizio viene dal nulla e rivoluziona la vita di una tranquilla cittadina statunitense;  per diventare psicoterapeuta non occorre nessun training specifico e basta armarsi di pazienza e lasciar parlare, senza interrompere il paziente di turno).

Dispiace che un grande regista come Kasdan (che ha interpretato lo psicologo che ha cura Jack Nicholson in “Qualcosa è cambiato”) abbia confezionato questa stupida commedia. La trama non affatto originale riprende lo spunto e le atmosfere di pellicole non esaltanti come “Lo strizzacervelli” ed “Un divano a New York”.

Dato il modesto risultato non si comprende perché lo stesso regista abbia “preteso” che tutti gli attori del cast (per meglio identificarsi nei personaggi che dovevano interpretare) si dovessero riunire, per tre settimane, in una sorta di gruppo d’autocoscienza.

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