Napoli nel cinema: gli anni Venti e Trenta

16 Aprile 2015 | Di Ignazio Senatore
Napoli nel cinema: gli anni Venti e Trenta
Senatore giornalista
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Negli anni Venti dominano la scena cinematografica napoletana Gustavo Lombardi, che fondò la Lombardi Film, storica casa di produzione al Vomero ed Elvira Notari, prima regista italiana, autrice tra l’altro del film ‘A Legge, firmata a quattro mani con il marito Nicola Notari, ispirata a due canzoni di E. A. Mario; O’ festino, A legge,.

Cineasta moderna e talentuosa, Elvira Notari, produttrice della Dora Film, con il suo taglio neo-realistico, girava per strada, riprendendo fatti di cronaca ed utilizzando scugnizzi ed attori non professionisti. I film della Notari, che avevano spesso come oggetto la malavita napoletana, colorata di un alone quasi eroico, puntavano dritto al cuore dello spettatore, ma venivano regolarmente stroncati dalla critica di regime. Il suo sguardo, crudo e graffiante, non poteva però piacere al regime fascista che, volendo magnificare i fasti della Roma imperiale, non amava l’umanità misera e stracciona descritta nei suoi capolavori.

Un suo film “Carcere”,  ispirata alla canzone di Libero Bovio fu censurato, accorciato di quasi un terzo ed il suo titolo fu mutato in Sotto San Francisco. Lo stesso Gennariello, figlio di Elvira Notari, in un’intervista ricordò e battaglie che la madre ingaggiava con la censura che non voleva che lei mostrasse, tra l’altro, la “zumpata”, il duello a coltello tra i guappi ed invece accettava tranquillamente i western americani, pieni zeppi di sparatorie e di scazzottate.

Nel 1920 una circolare dell’Ufficio che si occupa della censura, precisava che “non verrà più concesso il nulla osta a quei film che risultano indegni della bellezza di Napoli. Non saranno più tollerati film con posteggiatori, scugnizzi, vicoli sporchi, gente dedicata al dolce far niente.”

Nonostante le pressioni della censura, a far la parte del leone in quegli anni era proprio la “sceneggiata”, spettacolo popolare squisitamente musicale, in cui la parte recitata era minima e serviva da filo conduttore per collegare una canzone all’altra. Il genere, in verità, deve il suo boom cinematografico anche grazie ad un piccolo espediente messo a punto da Enzo Lucio Murolo che, per non pagare le tasse sugli spettacoli di varietà, introducendo il recitato e, creando attorno alle canzoni una trama, aggirò così l’ostacolo,

Il cinema, al tempo, non era dotato ancora del sonoro e le sale cinematografiche disponevano di un’orchestra e di cantanti che, sincronicamente allo svolgersi della vicenda, interpretavano i brani musicali. In quel fermento culturale canzone dialettale, sceneggiata e cinema si fusero insieme e nel giro di pochi mesi i maggiori successi canori delle Piedigrotta furono tradotti sullo schermo.

Le storie di guappi, i romanzi d’appendice, le dolci melodie delle canzoni napoletane, firmate da Libero Bovio, E. A. Mario, permisero ad Emanuele Rotondo ed agli altri produttori dell’epoca, non solo di incassare delle discrete somme, ma addirittura di esportare i loro prodotti all’estero, specie in America, terra ricca di emigranti.   

E’ del 1924, per la regia di Oreste Ghirardini, Il delitto Cuocolo, film di grande successo che ricostruiva un famoso processo di camorra e che vide, per la prima volta sullo schermo, come interpreti gli stessi protagonisti della cronaca; il maresciallo Erminio Capezzuti, il camorrista Gennaro Abbetemaggio, don Ciro Vittozzi, il prete accusato di aver aiutato i malavitosi.

Sul finire degli anni Venti le storie di guappi, amanti focosi e vendicativi e di romantiche sartine cominciarono a segnare il passo ed a Napoli, dopo l’avvento del sonoro, chiusero ad una ad una tutte le case di produzioni.

Napoli, città cinematografica per eccellenza, che produceva da sola, in quegli anni, un decimo dei film prodotti in Italia, vittima della campagna nazionalistica del fascismo e che avversava le realtà geograficamente territoriali, chiuse i battenti e Giuseppe Amato, Gustavo Lombardo, futuro fondatore della Titanus, e gli altri produttori napoletani, furono così costretti a trasferirsi a Roma.

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