“Perché si danza quando si ha voglia di baci” di I. Senatore (2013) – Recensioni

23 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore
“Perché si danza quando si ha voglia di baci” di I. Senatore  (2013) – Recensioni
Recensioni e prefazioni dei volumi di Ignazio Senatore
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“Non c’è parola a cui non si accompagna fulmineamente un’immagine, annota, citando Pier Paolo Pasolini, l’autore di questa ricca e meticolosa raccolta delle “più belle frasi del cinema d’autore”. 797 frasi di diversa lunghezza, organizzate in sei sezioni, con sottocapitoli in ordine alfabetico.” (Aldo Viganò – Cinecritica – N. 73 Gennaio – Marzo 2014)

 

MS: Come nasce l’idea del libro?

IS: Da psichiatra risponderei che la mia pratica clinica mi porta ad ascoltare le storie, spesso dolorose, che raccontano i miei pazienti, storie che si concentrano spesso intorno a delle frasi, a dei grumi di parole intorno alle quali, inconsapevolmente, la loro mente si è bloccata, paralizzata. Ho chiamato “sindrome di Sherazade” proprio quell’affezione che colpisce noi terapeuti, “costretti” a narrare storie ai pazienti. Da critico cinematografico direi, invece, che dalla visione di un film ognuno di noi si porta a casa un primo piano della protagonista, una scena particolarmente emozionante, il motivetto di una colonna sonora e certamente una frase che l’ha colpito. Il libro, nato dalla mia “insana” passione per il cinema, è nato quasi per gioco. Ho iniziato ad appuntare qua e là qualche frase, che ho riportato nel mio sito www.cinemaepsicoanalisi.com e poi, nel tempo, mi sono divertito a sistematizzarle ed raggrupparle per argomenti. Fino a coltivare l’idea di farne un libro. A differenza degli altri volumi sul tema, piuttosto che confezionare l’ennesimo volume sulle battute tratte dai film, ho preferito, non solo di raccogliere quelle tratte dai film d’autore, ma soprattutto proporre al lettore quelle che, a mio avviso, potevano far scattare nel lettore, una sorta di ripiegamento interiore.

MS: Quali sono le funzioni essenziali di un dialogo in un film?

IS: Nel volume “Il bello del cinema? I popo corn” che raccoglie le più belle riflessioni sul cinema, ad opera di registi ed attori, recentemente pubblicato da Falsopiano Edizioni, riporto questa folgorante affermazione del grande Alfred Hitchcock. “La maggior parte dei film sono collage di inquadrature di gente che parla”. Credo che il Maestro del brivido, con questa frase lapidaria, descriva quello che è nello stesso tempo uno dei pregi dei film (l’attenzione al dialogo) ma anche un loro limite. Purtroppo molti registi prediligono i dialoghi, tralasciando la “scrittura filmica.” Maestri del cinema come Bergmann, Bresson, De Oliveira, Ozu… che puntavano primariamente al dialogo, tralasciando, in qualche modo, la ricerca visiva, oggi appaiono fortemente verbosi, statici, datati e non più al passo con il tempo. Questi ed altri autori rimarcano però una vocazione ancora molto forte nel cinema: catturare l’attenzione dello spettatore con le parole e non con le immagini,

 MS: La frase è utile allo spettatore anche per individuare i caratteri di un personaggio?

IS: Assolutamente si. Ci sono frasi che hanno il solo compito di portare per mano lo spettatore e di guidarlo ad identificarsi con il personaggio. Chi andava a vedere un film di Bogart era certo che, nel corso del film, fedele al suo clichè di duro, Humphrey adottasse un linguaggio tagliente, provocatorio e deciso. Chi andava a vedere un film della Monroe non si aspettava, forse, una sua frase tenera e disarmante? Il limite era che certi attori, diventavano schiavi del clichè costruito loro intorno per cui, chi era in sala, non si sarebbe mai aspettato delle profonde riflessioni filosofiche proposte da Jerry Lewis o da Franco e Ciccio. Va da sé che ogni genere cinematografico adotti un certo tipo di linguaggio per cui, ad un attore comico si addice la battuta, ad un personaggio di una commedia scollacciata una frase a doppio senso ed a un film dal taglio di impegno civile un commento caustico e irridente nei confronti della classe politica dirigente.

MS: Con l’avvento del sonoro alcuni detrattori sostennero che la nuova tecnologia avrebbe rappresentato un impoverimento per l’arte cinematografica…

IS: Facendo un salto indietro, come non ricordare che lo stesso Lumiere aveva predetto che il cinema non avrebbe avuto alcun futuro? Del resto ogni volta che compaiono all’orizzonte delle nuove tecnologie, ci sono sempre i detrattori che suonano le campane a morte e che gridano allo scandalo ed all’imminente crollo della Settima Arte. C’è da dire, invero, che il tanto strombazzato 3D non ha raccolto i consensi che i magnate dell’industria del cinema si aspettavano e che il passaggio dalla pellicola al digitale ha reso la visione del film certamente più nitida di prima, ma l’ha privata di quelle sgranature, di quelle increspature che regalavano alle vecchie pellicole quel pizzico di sogno e di magia che adesso non esistono più.

MS: In Italia abbiamo una grande tradizione nel doppiaggio. Ma la difficoltà di tradurre le battute e rispettarne i tempi e i significati originali può causare un travisamento dell’opera dell’autore?

IS: Anche questo è un annoso problema nel quale il cinema nostrano si dibatte da tempo. Come è noto all’estero le pellicole non sono doppiate, ma sono solo sottotitolate e lo spettatore può apprezzare l’originale interpretazione degli attori. C’è da dire però che le nostre scuole di doppiaggio sono così professionali che, a dire il vero, non parlerei di travisamento dell’opera dell’autore. Del resto un attore come Giancarlo Giannini che doppia Al Pacino non offre sufficienti garanzie?

MS: Spesso le sceneggiature migliori sono scritte da più persone. È necessario un confronto tra idee e sensibilità diverse per ottenere risultati eccellenti?

IS: E’ vero il meglio del cinema italiano è stato scritto, a quattro mani. Penso alle scheggiature scritte da Vittorio De Sica e Cesare Zavattini e non solo. Più frequenti sono i capolavori scritti a più mani. Penso, ad esempio, a quelle firmate da Rulli e Petraglia, in collaborazione con il regista di turno ed a quelle di Benvenuti, De Bernardi, Flajano, Suso Cecchi D’Amico. Ma che dire di Senza pelle, scritta dal “solo” Alessandro D’Alatri? E di tutte le pellicola firmate unicamente da Nanni Moretti?

 

Intervista di Mario Scarpa pubblicata l’8- 8-2014 su www.ilmondodisuk.com

 

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