“Ricomincio da tre”, i primi 40 anni del film cult

6 Marzo 2021 | Di Ignazio Senatore
“Ricomincio da tre”, i primi 40 anni del film cult
Senatore giornalista
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“Il film ho voluto girarlo da solo perché sapevo che anche il regista più bravo avrebbe tentato di cambiarlo, di dirigermi verso quello che viene ritenuto il gusto del pubblico. Dicono questo non piace, questo non va, e ti costringono a cambiare, a fare cose che non avresti mai messo in conto.” Così Massimo Troisi raccontava 40 anni fa la genesi del suo film, diventato subito un cult, “Ricomincio da tre”

 “Guarda che fuori di Napoli non ti capiscono, stai facendo un film solo per i napoletani”, raccontava Massimo, e ridevano sempre tutti quando vedevano qualche brano ma dopo un po’ facevano tutti la stessa domanda; gli altri capiranno, a Roma capiranno, a Milano capiranno? Ora sembra che il film verrà mandato a Cannes, ma la domanda è sempre la stessa; i francesi capiranno.” “Ricomincio da tre” uscì il 5 marzo  del 1981, ha compiuto quindi ieri i suoi primi quanrant’anni e il film, record d’incasso al botteghino, ebbe oltre ai favori del pubblico, premi e ottime recensioni della critica, che superarono abbondantemente  le previsioni catastrofiche di Fulvio Lucisano e Mario Berardi, i suoi produttori, preoccupati per l’utilizzo del dialetto napoletano e per l’eventuale flop che ne sarebbe derivato. Lo stesso Troisi, protagonista con  Lello Arena e Fiorenza Marchegiani (con camei di Renato Scarpa e Marco Messeri), in un’altra intervista dichiarò: “Il successo del film è dovuto al fatto che io nel film parlo di cose che so, in un mondo cinematografico dove finora i film sui giovani  sono stati fatti dai vecchi e quelli sulle donne dagli uomini. Rispetto all’uso del napoletano era quasi un fatto ideologico, era una difesa, era forse anche lì, non accettare le regole. La scelta del napoletano? Mi ero però incaponito. Un film in italiano mi dava l’idea che non solo avrei tradito il dialetto, la mia cultura, ma avrei tradito anche le mie idee nel fare delle cose diverse. La scelta del napoletano è anche un motivo di ordine pratico perché tutto mi viene più spontaneo, più celere.  A certi meccanismi di comicità non ci sarei mai arrivato in italiano, perché in me ci sarebbe stato bisogno di più tempo.”

Fu un trionfo inaspettato. La storia vedeva come protagonista Gaetano, un napoletano timido, tenero, impacciato, insicuro e che soprattutto parlava sottovoce. Un personaggio che spiazzò tutti per queste caratteristiche che non mostravano il “solito” guascone napoletano fatalista e scaramantico, astuto e imbroglione, bensì un giovane “normale” educato, attento osservatore dell’universo che lo circondava fino a sembrare a volte saggio, che, come altri della sua età, sentiva il bisogno di partire da Napoli per viaggiare e conoscere il mondo.”

Articolo pubblicato su il Corriere del Mezzogiorno- 6-3-2021

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