Ignazio Senatore intervista Silvio Orlando: “La Costiera amalfitana è il mio grembo materno”

18 Luglio 2021 | Di Ignazio Senatore
Ignazio Senatore intervista Silvio Orlando: “La Costiera amalfitana è il mio grembo materno”
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Dopo i David di Donatello, i Nastri d’argento, i Ciak d’oro e la Coppa Volpi a Venezia, l’altra sera a Vico Equense Silvio Orlando ha arricchito ancor più la sua bacheca con il “Premio alla carriera”, riconoscimento tributatogli nel corso della 11° Edizione del “Social World Festival” dal direttore artistico, il regista Giuseppe Alessio Nuzzo.

Qual è il segreto del suo successo?

Sono partito dalle mie ferite e ho scoperto che chi era in sala s’identificata con la mia fragilità. All’inizio della carriera è un po’ come quando vai al mercato; fai la zuppa con quello che trovi e accetti i ruoli che ti vengono offerti. Poi, crescendo, ho sviluppato delle capacità tecniche e il teatro è stato per me un’occasione di sorprendermi e sperimentare. Ho iniziato con il comico e con il tempo ho sposato sempre più un registro drammatico, ma mi è sempre rimasta addosso l’insicurezza iniziale.

Vive a Roma da anni. Cosa si prova a ritornare nella Costiera sorrentina?

Quella di ritornare nel grembo materno.

Ha spesso dichiarato che con Napoli ha un rapporto conflittuale

Napoli è una città che non afferri mai e quando pensi di averla presa, ti sfugge tra le mani. E’ allo stesso tempo bella ed infernale. Napoli non si può occupare di tutti i suoi figli. Ti dà e poi ti spinge a mettere a frutto altrove quello che ti ha donato. E’ così bella che ti vizia e ti fa bastare quello che hai. In qualche modo questo suo fascino ti spinge a smorzare le tue ambizioni. E, invece, abbandonandola, sei costretto a confrontarti con il mondo. Mia madre era napoletana e mio padre di Pesco Sannita, una cittadina del beneventano. La piazza principale di questo paese è ancora dedicata a Luigi Orlando, un mio lontano parente, martire, che fu trucidato dai piemontesi dopo lo scoppio di un’insurrezione. Da mia madre ho preso la tenerezza, l’ironia e la malinconia; da mio padre, la forza dei guerrieri sanniti. Ho sempre interpretato un napoletano che possedeva un certo rigore morale, un personaggio lontano dai soliti cliché e luoghi comuni.

Con “Lacci” di Daniele Luchetti, tratto dall’omonimo romanzo del napoletano Starnone, ha collezionato l’ennesima nomination ai David

“Starnone è un intellettuale che sta attraversando una fase pessimistica. E’ convinto che l’arte debba innescare disagio e chi ha voglia di star bene, debba andare in farmacia.

Recentemente ha interpretato “Ariaferma” dell’ischitano Leonardo Di Costanzo con Toni Servillo.

Non avevo mai lavorato con Toni. Prima o poi doveva capitare questo derby Napoli-Caserta. Sono contento di aver lavorato in questo film: rientra senza dubbio nel cosiddetto “cinema di impegno civile”. Ho iniziato con “Il portaborse” di Luchetti e credo ci sia sempre bisogno di questo tipo di cinema. Leonardo Di Costanzo è un regista rigoroso, è un documentarista che riesce a fondere nei film di finzione due metodologie narrative diverse tra loro. Dopo gli episodi del carcere di Santa Maria Capua Vetere il film di Leonardo è di scottante attualità. E’ stato girato a Sassari. Nel film il carcere é visto come una vendetta della società nei confronti di chi ha commesso un reato, una vendetta reiterata all’infinito. Così si innesca una catena di violenza che non si ferma mai, ben lontana dagli intenti rieducativi.

Ha recitato anche in altri due film in uscita in autunno

Sono due film ai quali sono molto legato; “Il bambino nascosto” di Roberto Andò con Francesco Di Leva e Lino Musella, girato a Napoli, e “Siccità” di Paolo Virzì con Renato Carpentieri.

Articolo pubblicato su il Corriere del Mezzogiorno 18.7. 2021

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