Trash – I rifiuti di New York (Trash) di Paul Morrissey – USA – 1970 – Durata 113’ – V.M 18

20 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore
Trash – I rifiuti di New York (Trash) di Paul Morrissey – USA – 1970 – Durata 113’ – V.M 18
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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A furia di bucarsi, Joe (Joe Dallesandro) è diventato apatico ed impotente e vive alla giornata bighellonando per New York, chiedendo l’elemosina per ricavare i soldi per la dose giornaliera. Holly (Holly Woodlawn), la sua donna, per arredare al meglio la squallida stanzetta dove abitano, raccatta mobili tra i rifiuti. Nel tentativo di rubare qualcosa, Joe si intrufola in un appartamento dove s’imbatte in Jane (Jane Forth). una sposina disinibita che gli chiede di far l’amore. Sopraggiunge  Bruce (Bruce Pecheur), il marito, e la coppia osserva incuriosita Joe che si buca; si sente male e Bruce, senza pensarci due volte, lo sbatte fuori casa. Joe si rifugia allora da una ricca signora mezza svitata che gli fa le fusa e vuole andare a letto con lui ma Joe, stanco e depresso, se ne ritorna a casa, dove inizia a scambiare delle dolci effusioni con Diana (Diane Podel), la sorella di Holly in dolce attesa. Holly li scopre e pianta un putiferio. Il film si chiude con Holly che, fingendo di essere incinta, prova, invano, a chiedere il sussidio di disoccupazione ad un funzionario feticista.

Film che fece epoca perché fu uno dei prodotti della Factory di Andy Warhol, l’originale e bizzarro artista americano e fa idealmente parte di una trilogia iniziata con Flesh nel 1968 e chiusa da Heat nel 1972. Da un punto di vista stilistico il film è scarno ed elementare ed i dialoghi,  per la loro assoluta inconsistenza, sembrano quasi surreali. Warhol non vuole impaginare il classico film su un tossicomane che s’aggira per la città alla disperata ricerca della dose da iniettarsi ma mostrare un personaggio apatico, privo di emozioni e di spinta vitale che si muove sullo schermo come un automa, ciondolando senza meta per la città. Nel corso del film Joe non sembra nutrire emozioni e, per ammazzare il tempo, mima dei rapporti sessuali privi d’anima e passione con Holly, con sua sorella Diana e con tutte le donne che incontra. La sua scelta tossicomanica va inquadrata in una sorte di mal di vivere più ampio e generalizzato e le pere che si inietta in vena, sparate impietosamente in primo piano, assurgono (quasi) a simbolo di uno stanco rituale con cui riempire le sue vuote e grigie giornate. Il titolo non solo è un esplicito riferimento alla famosa poesia di Allen Ginsberg ma rimanda a quell’umanità sgraziata e disperata che si aggira tra la spazzatura ed i rifiuti di New York. Distribuito in Italia nel 1974 risente del pessimo doppiaggio curato da Pasolini che, in nome di un maggiore realismo, non si affidò a dei doppiatori professionisti e pregiudicò irrimediabilmente la fruizione della pellicola.

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