Uscita di sicurezza di Yurek Bogayevicz USA – 1996

5 Gennaio 2019 | Di Ignazio Senatore
Uscita di sicurezza di  Yurek Bogayevicz  USA – 1996
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Ed Altman (Mickey Rourke), noto psichiatra di Beverly Hills è implicato nel suicidio di una paziente e (naturalmente) accusato di essere andato a letto con lei.

Il dottore, dopo lo scandalo, decide di raccattare i pezzi della propria vita e di trasferirsi a Palm Springs. In uno dei vagabondaggi per la città incontra Ally (Annabel Schofield), una sensuale creatura, sposata con un costruttore senza scrupoli. Alla donna che gli chiede cosa fa nella vita, Ed risponde, laconicamente: “Lavoro con le persone, frugo nella mente.”

Colti da travolgente passione, i due diventano amanti, ma il destino è lì in agguato.

Nel corso del film, infatti, Ed scopre che il marito di Ally è un suo paziente, affetto da problemi di “impotenza”. Gli eventi precipitano ed una notte, la donna, per difendersi dal marito (diventato sempre più geloso e violento) lo ammazza per legittima difesa.

La donna è disperata, chiede aiuto ad Ed che si reca sul luogo del delitto e viene poi incolpato dalla polizia dell’omicidio.

Il flash-foward ci riporta alla scena iniziale del film: Ed è in auto con il suo strano compagno di viaggio, al suo fianco. L’uomo (che si era spacciato per il marito impotente di Ally) altri non è che Nick, complice di Ally, autrice del delitto del marito.

La donna, per riscuotere il premio dell’assicurazione, si era fatto gioco di lui e di Ed. In un finale drammatico e struggente, Nick uccide Ally e viene a sua volta trafitto da una pioggia di pallottole sparate dalla polizia.

Il regista confeziona questo thriller mozzafiato, ricco di (troppi?) colpi di scena, citando nel finale “Sugarland Express”, “Punto zero” e tutti i film “indipendenti” che hanno fatto grande il cinema (on the road) americano degli Anni Settanta.

Strutturato come un post-noir, il film (forse) banale ed originale è pervaso da quelle atmosfere torbide e malsane che hanno reso immortale uno dei generi più amati del cinema americano. Al regista non interessa occuparsi degli aspetti “terapeutici” della vicenda ma sceglie (non a caso) uno psichiatra che (come l’ingenuo Nick) resta intrappolato nel torbido gioco ordito dalla dark lady di turno.

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