MIlarepa di Liliana Cavani – Italia – 1974

6 Gennaio 2019 | Di Ignazio Senatore
MIlarepa di Liliana Cavani – Italia – 1974
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Leo (Lajos Balazsovits) un giovane studente d’estrazione operaia segue un corso di letteratura orientale. E’ in auto e sta accompagnando il suo maestro, il prof Bennett ((Paolo Bonacelli) e sua moglie all’aeroporto per un viaggio in Oriente. A causa di un incidente d’auto, i tre finiscono in una scarpata. E mentre la donna va a cercare aiuto, Leo narra al suo maestro le vicende di Milarepa, un giovane contadino del Nepal dell’XI secolo. Nel racconto filmico, Leo assume le sembianze di Milarepa. Il giovane, nel corso del suo viaggio iniziatico, apprende l’arte della meditazione. Conosce un maestro che indica ai suoi allievi la via da seguire.

Per vendicarsi delle ingiustizie subite, Milarepa apprende dapprima l’arte della magia nera (potere distruttivo) e distrugge il villaggio dove vivevano i suoi nemici e successivamente, sommerso dai sensi di colpa, quella della magia bianca (potere conoscitivo). Il giovane Milarepa decide, infine, di mettersi sulle tracce del maestro Marba. L’illuminato, inizialmente, lo scaccia, poi, per abbattere le sue resistenze, lo sottopone ad una serie di prove durissime (gli fa costruire una torre in pietra circolare, poi gli chiede di demolirla ed infine di ricostruirla nuovamente). Alla morte del Maestro, Milarepa comprende il senso del suo insegnamento. Ritornato a casa, trova il suo paese distrutto e la madre morta. Il finale del film ci mostra Leo che esce dall’auto e s’incammina verso il centro della città.

Film visionario, che si nutre dell’immaginario tipico della spiritualità orientale. Ambientato sulle montagne dell’Abruzzo, è liberamente ispirato al libro “Tibet ‘s Great Yogi Milarepa”, scritto dal suo discepolo Rechus (XII sec.). Pellicola sulla formazione spirituale di un  giovane asceta e sulle fatiche (fisiche e mentali) che occorrono per raggiungere il Nirvana e l’assoluto distacco da ogni realtà materiale. Profondamente laico, il film non sconfina mai nel bozzettismo e nella banalizzazione della spiritualità. Per riproporre il senso di “respiro” e di “apertura” mentale del protagonista, la regista fa un’importante scelta di campo; gli spazi sconfinati che compongono il paesaggio diventano l’espressione della mente del protagonista.

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