Alla presenza di Lina Wertmüller e di Giancarlo Giannini, sbarca il 22 maggio sulla Croisette, nella Sala Buñuel del Palais, la versione restaurata di “Pasqualino Settebbellezze”, film del 1976, candidato a quattro premi Oscar; miglior film straniero, miglior regia, attore protagonista e sceneggiatura originale.
Una pellicola grottesca, sospesa tra dramma, farsa e commedia, ambientata nella Napoli nel ’36 con Giancarlo Giannini nei panni di Pasqualino Settebellezze, un camorrista napoletano che, per scalare posizioni all’interno della malavita, uccide l’uomo che ha costretto una delle sue sette sorelle a prostituirsi. Condannato al manicomio criminale, esce da Aversa come volontario allo scoppio della II Guerra Mondiale. Fuggito dalla Russia insieme all’amico Francesco, finisce in un lager. Per salvarsi, finge di essersi innamorato di Hilde, la kapò del campo di concentramento e diventa lui stesso kapò. Per sopravvivere, uccide Francesco e, dopo essere stato liberato dagli Alleati, torna a Napoli dove scopre che le sue sette sorelle si prostituiscono, parimenti alla fidanzata. Un film che mette in campo un uomo disposto a tutto pur di sopravvivere e che prevedeva anche un ruolo, quello dell’anarchico, affidato a Eduardo De Filippo. Purtroppo il grande drammaturgo napoletano, pur apprezzando molto il copione, dovette declinare l’invito perché le riprese iniziarono quando lui era impegnato a teatro. Ricca di aneddoti e curiosità la sceneggiatura del film. Infatti, è ispirata ad una storia vera e nasce dal racconto autentico fatto alla Wertmuller e a Giannini dal vero Pasqualino, un napoletano che lavorava a Cinecittà come “acquaiolo” (riforniva tutti di bicchieri d’acqua durante le pause sul set) e che si può vedere in una delle ultima scene del film “Mimì metallurgico” nei panni di un secondino del carcere. Pasqualino aveva raccontato alla Wertmuller e a Giannini la terribile esperienza della sua prigionia in Germania e l’attore, entusiasta dell’idea di proporre una sorta di Pulcinella a confronto con gli orrori del nazismo, aveva convinto al regista a scriverne una sceneggiatura e a farne un film. Lo stesso Giannini ricorda che per il ruolo del protagonista doveva dimagrire in fretta e, non potendo fare a meno di colazione, pranzo e cena, prima di ogni ripresa, per sembrare magro, smunto, sudato e disidratato, si strofinava in viso dell’olio di glicerina, si faceva le occhiaie con l’ombretto ed indossava dei vestiti molto più larghi della sua taglia. La regista romana, inoltre, dichiarò che, dopo aver girato per mezza Europa alla ricerca di un lager, come location, grazie al marito Enrico Job, individuò una cartiera abbandonata di Tivoli e che scelse, per caso, la giunonica Hilde, la kapò tedesca, interpretata da Shirley Stoler, attrice, in verità americana e di origine russa, dopo aver visto il misconosciuto film “I killers della luna di miele”. Una città, quella di Napoli, dipinta spesso dalla regista, in modo troppo pittoresco e caricaturale, molto cara alla Wertmuller (un nonno partenopeo) che, dopo il musicarello “Rita la zanzara”, girato in città dieci ani prima, fu scelta come ambientazione in altri sei film: “La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia”, “Un complicato intrigo di donne vicoli e delitti”, “Ferdinando e Carolina”, “Ninfa plebea”, “Io speriamo che me la cavo” e “Francesca e Nunziata”.
Articolo pubblicato il 19.5.2019 su il Corriere del Mezzogiorno
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