Helena (Mercedes Mòran), giovane e sensuale, abbandonata da anni dal marito, gestisce l’Hotel Termos, un piccolo albergo termale che ospita per l’occasione un convegno di otorini, capitanati dal dottor Vesalio (Arturo Goetz). Amalia (Maria Alchè), la figlia sedicenne, frequenta una parrocchia insieme a Josefina (Julieta Zylberberg), amica inseparabile, e, durante gli incontri di catechesi, la loro insegnante le sprona a riportare sulla retta via i peccatori.
Nell’albergo Amelia s’imbatte nel discreto e silenzioso dottor Jano (Carlos Belloso), marito e padre di famiglia, che mostra nei suoi confronti una malsana attrazione erotica.
I due s’incontrano per caso in strada; lei sta ascoltando dei musicisti e lui, alle sue spalle, si struscia contro il suo corpo.
Amelia ne rimane profondamente turbata ma, imbevuta delle tante preghiere imparate a memoria, si convince che deve portare a termine la propria missione e redimere il dottore.
Dopo avergli lanciato degli sguardi furtivi, cede alle sue attenzioni morbose. Juano conquista anche il cuore di Helena ma, sul finale, è smascherato.
La regista non punta allo scandalo, né vuole impaginare un film sulle malsane fantasie che attraversano nella mente di chi abusa di una minore.
Dopo aver lasciato fuori campo la scena del peccaminoso incontro tra Amalia ed il dottore, con tocco misurato, Martel punteggia la narrazione con una serie di sguardi che si scambiano madre e figlia. La regista mostra, da un lato, la tormentata Amalia, che sente la propria femminilità bussare alla porta, e dall’altro Helena, una donna solare, ancora piacente che, grazie al proprio charme e eleganza, calamita gli sguardi del dottore, scatenando ancora di più la gelosia e la competizione della figlia.
Con grande equilibrio, Martel mescola sacro e profano, peccato e candore, lecito e proibito e, in maniera tagliente e decisa, punta il dito contro un’educazione cattolica e bigotta che finisce per plagiare le acerbe e vulnerabili adolescenti. “Dio ci chiama per salvare. L’importante è essere pronti di fronte alla chiamata” afferma risoluta l’insegnante di catechesi.
In quel piccolo albergo in rovina le pareti scrostate che cadono a pezzi e la piscina impolverata e semi-abbandonata sono lo specchio delle anime dei protagonisti che compaiono sulla scena, attanagliati da una solitudine cosmica e intrisi da un profondo senso di morte.
Il dottor Jano non ha lo sguardo del maniaco, ma è descritto, all’opposto, come una persona distinta e riservata che s’aggira per l’albergo in punta di piedi, covando negli interstizi della propria anima abissi di malvagità e perversione.
L’unico momento più ironico di tutto il film è quando alcuni dottori intonano in gruppo l’intramontabile O’ sole mio.
Questo sito utilizza strumenti di raccolta dei dati, come i Cookie. Questo sito utilizza Cookie tecnici e di terze parti per fornire alcuni servizi. Maggiori Informazioni
Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.