A Giuseppe Tornatore si può chiedere tutto ma non di rilasciare un’intervista. Lui stesso, con il suo sorrisetto ingenuo e malizioso alo stesso tempo, candidamente confessa:
“Sono anni che mi fanno sempre le stesse domande o ti vengono a dire: Lei cinque anni fa ha detto” e ti chiedono una conferma di quello che già sanno.. Nel tempo ho imparato io stesso a calibrare le mie risposte e a dare sempre quelle che “funzionano” meglio.”
L’occasione per questa “chiacchierata” con il regista siciliano, premio Oscar per il suo indimenticabile “Nuovo Cinema Paradiso” è offerta dal Napoli Film Festival dove Tornatore è stato invitato come ospite.
Nei tuoi film compare spesso l’artificio narrativo del sogno?
“Nuovo Cinema Paradiso” si apre con una notte d’insonnia del protagonista che rievoca il proprio passato. Quando termina la sua rievocazione è già l’alba e solo allora si decide di tornare al proprio paese. Ne “La pura formalità” è evidente il riferimento alla notte ed anche in questo film si conclude all’alba. In “Stanno tutti bene” Matteo Scuro ha un incubo ricorrente. Non so dire se è tanto o poco ma credo che in Stanno tutti bene” il riferimento al sogno è il più esplicito.
Molti considerano “Una pura formalità” il tuo film più psicoanalitico. Come è nato il film?
“Avevo fatto un contratto con Cecchi Gori per fare un certo numero di film . Nell’arco di un anno gli ho proposto delle storie scritte ma nessuna di queste andava bene. Andai da lui e gli dissi: “Evidentemente quello che piace a me no piace a te. Sciogliamo il contratto.” Mi fu risposto “Ma per carità ect…” Allora dissi: “Ditemi quanti soldi siete disposti a buttare dalla finestra senza sapere che film è. Io mi impegno a stare nella cifra che mi proponete a patto che voi non sappiate mai della storia?E cos’ fu. Ebbi un budget di quattro miliardi e Cecchi Gori non seppe mai quello che stavo girando. Quando lo vide disse: “Non ci ho capito niente ma mi sembra un grande film”. Il film fu girato senza sceneggiatura e nel corso della lavorazione molti componenti della troupe non sapevano nulla del film. E quando il produttore mi chiese di scrivere due righe per avere i soldi del finanziamento scrissi una storia su un cantante lirico.”
Come mai pensasti a Depardieu e a Polanski?
“Mi è capitato sempre di scrivere pesando prima agli attori che avrebbero dovuto interpretare il film. E’ successo con Ben Gazzarra per “Il camorrista”, con Tim Roth per “La leggenda del pianista dell’oceano”. Chi scrive per il cinema crea sempre dei punti di servizio per gli attori ma non si può scrivere un personaggio senza immaginare un corpo, un viso che si muove. Quando ho scritto “Nuovo Cinema Paradiso” non sapevo che Alfredo era Noiret. Infatti , poi ho rivisto alcune cose. L’ importante è di facilitare la capacità di immaginare e di tener conto che l’attore modificherà, in parte, il personaggio. Avevo pensato a Depardieu perché volevo che Onoff non assomigliasse ad uno scrittore. Se si pensa a Depardieu lo si immagina più un pugile, uno scaricatore e non certo ad uno scrittore. Infatti, nel film c’è un pezzo in cui si dice: “ Lei è un boxeur, un camionista…” Parlai con Depardieu e gli dissi “Se ti piace l’idea, la scrivo”. Depardieu accettò. L’idea di Polanski era nata perché avevo pensato ad una persona che il pubblico non conoscesse come attore. Avevo pensato ad un pittore, ad uno scrittore quando mi ricordai di Polanski. Lo chiamai e mi disse “Dammi ventiquattr’ore di tempo”. Mi richiamò e mi disse “Lo faccio”. Fu solo dopo che, mentre ero impegnato nelle riprese chiesi a Roman: “Cosa hai fatto nelle ventiquatt’ore? “ E lui mi rispose: “Niente. Ho solo cercato Depardieu per sapere se aveva accettato e se gli piacevo che c’ero io al suo fianco.”
Ci sono stati dei problemi sul set?
“Polanski adotta il metodo Stanislavskij, Depardieu è un attore alla Mastroianni e non doveva entrare nel personaggio. All’inizio non avevo valutato questo ma poi, nel corso delle riprese, mi resi conto che al secondo ciak Depardieu aveva già dato il meglio e Polanski aveva bisogno di più tempo.”
Nel film ci sono chiari riferimenti letterari al Durematt, Kafka, Dostoevskij
“Nel film non c’è nessun riferimento letterario e credo che la letteratura sta in questo film come la musica ne “La leggenda del pianista dell’oceano”. I testi dei libri di Onoff erano così importanti all’interno della stessa storia del film che non li ho scritti io ma li ho commissionati ad uno scrittore “vero” perché mi serviva una struttura letteraria diversa. Avrei potuto citare dei testi già scritti ma l’idea non mi convinceva. Ci sono degli echi di cinema, al punto che lo stesso Onoff dice: “Mi sembra di essere in un B movie”, ma posso assicurare che, consapevolmente, nella mia carriera, ho fatto solo due omaggi. La prima era un omaggio a Sergio Leone ed il secondo in “Nuovo Cinema Paradiso” c’è un omaggio a Guttuso, nato nella mia stessa terra e a due suoi quadri. Ogni qual volta qualcuno mi dice che ho citato un film, io stesso ne sono sorpreso. Ricordo di un critico che mi disse che in Nuovo Cinema Paradiso” la scena delle barche era una citazione de“La terra trema” di Visconti e di Fellini quando aspettano il Rex.…Quando ho fatto “Stanno tutti bene” ci fu chi disse che mi ero ispirato a “Viaggi a Tokio” di Ozu. Il film non lo conoscevo ma quando mi capitò di vederlo mi accorsi che era la stessa storia. Quando decidete di fare un film, statene certi, se vi guardate intorno scoprirete che tutti hanno già fatto il vostro film. Borges diceva che il cinema è destinato a scomparire perché le storie sono già finite. Sciascia disse che non andava più al cinema perché tutti i film sono già stati fatti.
Peter Bogdanovich aveva già fatto “L’ultimo spettacolo” un film sul cinema prima di “Nuovo Cinema Paradiso”. C’è chi dice che ne “La morte e la fanciulla” di Polanski ci sono degli echi di”Una pura formalità”. Del resto se te ne stai dodici settimane con il rumore incessante della pioggia nelle orecchie, è possibile che ti rimanga dentro qualcosa. La suspense esisteva già prima di Hitchcok ed è fatta di elementi universali che utilizzano tutti. Il cinema si nutre di altre arti; pittura, scultura…Mi hanno detto che Martin Scorsese, il grande regista americano di origini italiane, a casa sua, ha una trentina di video perennemente accessi che mandano in onda film dopo film. A chi gli chiede il perché di quelle installazioni non risponde ma lascia intendere che le immagini dei diversi film lo nutrano, gli entrano nella pelle e prima o poi influenzeranno il suo processo artistico.”
“Una pura formalità” spiazzò molto gli spettatori.
“Una pura formalità” era un film molto di regia e l’idea di fondo era quello di depistare continuamente lo spettatore e di rimandargli l’idea che le cose non fossero come apparivano. La macchina da presa usa le posizioni più sgrammaticate, al punto che c’è una ripresa che parte da sotto la macchina da scrivere. Non a caso una parte della critica mi attaccò per questi eccessi, per questi virtuosismi della macchina da presa. Lo spettatore doveva capire di trovarsi in un luogo inaffidabile. Nel film perfino le luci impedivano allo spettatore di identificarsi al punto che, nel corso della narrazione, anche la luce va via. La luce aveva una grande importanza nel creare questa ombreggiatura opposta. Avevo chiesto a Depardieu di ingrassare un po’ perché mi piaceva mostrarlo con un gioco di luci ancora più enorme, fino a farlo sembrare gonfio ed in uno stato quasi di decomposizione. Anche il montaggio che ho curato io stesso non era quello classico e la logica del campo/controcampo era sgrammaticata. Il nome stesso del protagonista Onoff, On/off, un gioco sull’essere-non essere, era di per sé indicativo. Tutto il film ruotava, infatti,m sul senso d’inafferrabilità di cosa era successo nella vita di quest’uomo.
Poi c’era l’idea di spostare questa confusione su Rubini che diventa lo spettatore numero uno della storia. Il racconto è diventato così sfuggente che il pubblico l’ha poi rifiutato. A Cannes nessuno si aspettava un film del genere e la reazione fu negativa Oggi è il film per il quale ricevo più lettere dove mi chiedono spiegazioni. “
Nei tuoi film la musica ha una grande importanza
“Ne “La leggenda del pianista sull’oceano” la musica testimonia alla perfezione lo stato d’animo del personaggio..Il protagonista è una persona che può vivere in un mondo finito ( dove la musica finisce e dove inizia) e non in un mondo infinito. Questa era un’allegoria così convincente che quando scende dalla scaletta comprende che non può vivere nel mondo. Quando raccontai a Morricone del film cercai di fargli capire cosa mi aspettavo dalla sua musica e dopo ore ed ore di chiacchierate, Ennio comprese il senso di quello che gli stavo chiedendo. La sua idea fu quella della “nota stonata”. La prima volta che Novecento s’innamora di una donna è quella la “nota stonata”
Come è cambiata secondo te Napoli in questi vent’anni?
“Napoli è una città che adoro e per lei tradisco volentieri Palermo. Francesco Rosi, invece, afferma l’opposto: “Palermo è una città che adoro e la tradisco volentieri con Napoli”. Non vorrei essere retorico, né vestire i panni dell’intellettuale che lancia l’ennesimo l’appello ma penso che la situazione in città sia peggiorata. Credo che questo sia dovuto al mal di vivere ad al peggioramento delle condizioni sociali ed economiche che investe tutto il Paese e che può essere paragonato a quello che attraversò l’Italia nel dopoguerra. Se si vedono i flussi migratori dalla Sicilia, si scopre che sono uguali a quelli di quegli “anni d’oro”. La situazione è grave e non credo basti cambiare governo. Sarei felicissimo che il centrosinistra salisse al potere, ma mi auguro che non venga spazzato via dopo due anni.”
Come mai nei tuoi film è sempre presente l’idea del viaggio?
“Noi gente del Sud siamo sempre abituati a lasciare le nostre terra in maniera drammatica. E per questo motivo nei miei film viene sempre fuori l’idea della fuga. Questo concetto è dentro di me. Non a caso in “Nuovo Cinema Paradiso” Alfredo dice a Totò: Vattene, non tornare più”. Per anni, quando tornavo a Bagheria vedevo scene strazianti di persone che si salutavano e che ripetevano “Scrivi, telefona”. Allora mi sono detto: Ad Alfredo gli farò idre il contrario. “Non scrivere, non telefonare…”
Cosa consiglieresti ad un giovane che vuole intraprendere la carriera di regista?
“Quando avevo ventitre anni venne a Palermo un regista a presentare un film. Gli chiesi come si faceva a diventare regista e lui mi disse di lasciar perdere. Dopo “Nuovo Cinema Paradiso” lo incontrai e gli ricordai quello che mi aveva consigliato e mi rispose: “ Ho fatto bene a sconsigliarti, tu ad infischiartene.”
Vuoi raccontare le travagliate vicende di “Nuovo Cinema Paradiso”, il tuo secondo film premiato con l’Oscar?
“Dopo “Il camorrista”, Goffredo mi chiese se avessi o meno un sogno nel cassetto. Gli dissi che era un progetto che avrei voluto produrre io stesso dopo aver girato un altro paio di film e gli raccontai la storia di “Nuovo Cinema Paradiso”. Lui si commosse e mi disse: “Vai a casa e scrivilo!”. Ma quando gli feci leggere il copione le cose andarono diversamente. In realtà il cinema era in crisi e Goffredo non voleva più investire tanti soldi. Mi disse che la sceneggiatura era scritta male, io mi offesi ma ci lasciammo da buoni amici, ma con la morte nel cuore. Nel mondo del cinema non conoscevo nessuno e feci quello che fanno tutti gli esordienti;: spedii la sceneggiatura ed una letterina, ad una ventina di produttori. Poi conobbi una persona che conosceva Cristaldi a cui piacque il soggetto. Durante le riprese e tutto filò liscio. Per colpa mia avevamo bucato Venezia e “Nuovo Cinema Paradiso” fu presentato la prima volta ad “Europa Cinema”, un Festival di Bari, in una versione non ancora definitiva e della durata di tre ore. Il film lo montai in trentacinque giorni, mancavano, ad esempio, i rumori di fondo, i brusii. Uscì in sala, ad ottobre 88 e non fece una lira. Io e Cristaldi entrammo in crisi perché a Bari era piaciuto. A molti sembrava lungo ed allora tolsi un capitolo, alcune scene e lo ridussi a due ore e mezzo. Il film uscì nuovamente nelle sale a marzo dell’89 e neanche allora non fece una lira. Io mi ero rassegnato e pensai che non piaceva perché troppo autobiografico; Cristaldi si sentiva impazzire e si chiedeva se non capiva più niente di cinema. Il film fu invitato al Festival di Berlino, ma in una conferenza stampa, l’allora direttore, sparò a zero sul cinema italiano e disse che il cinema italiano era di serie B e che per questo motivo aveva invitato solo me e Verdone. Io mi offesi e mi rifiutai di portare il film a Berlino. Questo polverone fece si che l’allora direttore di Cannes chiese di vedere il film. Lo invitò al Festival, vinse il concorso, uscì nelle sale e fece un miliardo. A Cannes c’erano due fratelli della Miramax che lo portarono in America. Vinsi l’Oscar ed il film uscì per la quarta volta nelle sale e fece dieci miliardi.”
Per l’intervista completa si rimanda al volume “Psycho cult” di Ignazio Senatore (Centro Scientifico Editore-2006)
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