Ti do i miei occhi (Te doy mis ojos) di Iciar Bollain – Spagna – 2003 – Durata 109’

22 Gennaio 2020 | Di Ignazio Senatore
Ti do i miei occhi (Te doy mis ojos) di Iciar Bollain – Spagna – 2003 – Durata 109’
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Toledo. Antonio (Luis Tosar) ha sposato Pilar (Laia Marull), ma non riesce a controllare i propri scatti d’ira e gli impulsi violenti e aggressivi.

La loro vita è diventata un inferno e, dopo l’ennesima aggressione, Pilar scappa, nel cuore della notte, insieme al figlioletto Juan e si rifugia a Toledo dalla sorella Ana (Candela Pena).

Antonio vuole recuperare a tutti i costi il rapporto con lei e frequenta un gruppo di sostegno per soggetti affetti da discontrollo degli impulsi.

Pilar, intanto, ricomincia una nuova vita e, grazie all’aiuto della sorella, inizia a lavorare come guida turistica in un museo, riconquistando, giorno dopo giorno, serenità, tranquillità e fiducia in se stessa.

Antonio non può vivere senza di lei e, dopo averle promesso che cambierà, espugna nuovamente il suo cuore.

Vedendolo afflitto e pentito, Pilar gli offre un’altra possibilità e ritorna a vivere con lui ma Antonio, dopo aver tenuto a freno urla e scatti d’ira, ritorna l’uomo di sempre, nervoso e irritabile e maledettamente geloso.

Dopo l’ennesima sfuriata, Pilar comprende che Antonio non cambierà e trova la forza per lasciarlo.

La regista madrilena, (con un passato di attrice alle spalle) impagina un dramma che rapisce lo spettatore per l’intensa, lucida e commovente messa in scena e tratta lo spinoso tema della violenza all’interno delle mura domestiche in maniera non scolastica e convenzionale.

Invece, di mostrare il classico uomo rozzo e crudele che tiranneggia la moglie con schiaffi e pugni lima e sottrae la narrazione, regalando allo spettatore una storia d’amore disperata e senza sbocchi dove non ci sono né vincitori, né vinti, né buoni o cattivi, ma soltanto due anime che, pur amandosi, non possono vivere insieme.

La regista descrive Pilar come una donna coraggiosa, fiera e sensibile che non piega mai il capo e, pur di star al fianco del marito, ingoia umiliazioni, botte e mortificazioni, fiduciosa che Antonio guarirà.

Sola e senza amiche, nelle prime battute del film, deve lottare contro la madre (Rosa Marìa Sardà) che la critica per essere fuggita di casa e le ripete, come un disco rotto, che il suo posto è accanto al marito.

Bollain non regala ad Antonio la faccia del cattivo e lo descrive come un uomo insicuro, fragile ed infantile che, a suo dire, adora la moglie, ma è ossessivamente divorato dalla gelosia e dalla paura di perderla.

Per tenerla legata a sé frequenta una terapia di gruppo per mariti violenti. Il terapeuta si limita ad ascoltare le storie dei pazienti e suggerisce loro, quando sono per essere sopraffatti dal loro istinto violento, di pensare ai momenti in cui hanno trovato pace e serenità e appuntarli su un quaderno.

Antonio ce la mette tutta, segue alla lettera il suo consiglio, annotando sul suo quaderno un fiume di commenti e riflessioni.

La moglie è però sempre più libera, indipendente ed emancipata, il suo lavoro di guida turistica l’affranca, sia da un punto di vista culturale che relazionale, e lui, modesto commesso in un negozio di elettrodomestici, non può che sentirsi inferiore ed inadeguato.

La regista lascia (volutamente) gli scatti di Antonio quasi sempre fuori campo e con questa sua scelta rende ancora più claustrofobica e pesante l’atmosfera che si respira nel film.

Laia Marull e Luis Tosar, in stato di grazia, con la loro indimenticabile interpretazione, rendono ancora più struggente e pulsante la vicenda.

Vincitore di sette premi Goya; miglior film, regia, attore protagonista (Luis Tosar), attrice protagonista (Laja Marull) attrice non protagonista (Candela Pena) sceneggiatura e suono.

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