Inghilterra, 1925. Kitty (Naomi Watts) è uno spirito libero ma la madre insiste perché trovi marito ed allora lei accetta di sposare il dottor Walter Fane (Edward Norton), un riservato e distinto batteriologo. Dopo le nozze la coppia si trasferisce a Shanghai e Kitty, sola, inquieta e trascurata dal marito, diventa l’amante di Charlie Townsend (Liev Schreiber), il viceconsole inglese sposato con la ricca ed elegante Dorothy (Juliet Howland). Walter scopre la tresca e pone alla moglie un aut-aut; o divorzia o parte con lui per Wei-tan-fu, un remoto villaggio cinese funestato da un’epidemia di colera. Kitty prende tempo e, dopo aver scoperto che Charlie è solo un avventuriero, per evitare lo scandalo, segue il marito. Durante il viaggio, lungo e faticoso, Walter scambia con la moglie qualche frase di circostanza e le lancia solo sguardi gelidi e carichi di disprezzo. Walter si tuffa a capofitto nel lavoro e, cerca di arginare l’epidemia di colera chiudendo i pozzi infettati ed imponendo alla popolazione delle elementari misure igieniche; Kitty trascorre le giornate da sola, senza poter comunicare con nessuno, nella speranza che il marito la perdoni e si riavvicini a lei. Walter diventa giorno dopo giorno sempre più morbido e, l’amore trionfa. E quando Kitty gli comunica che è in dolce attesa, Walter muore di colera.
Melodramma sentimentale a tutto tondo liberamente tratto da un romanzo di William Somerset Maugham, già portato sullo schermo nel 1934 da Richard Boleslawski con la mitica Greta Garbo nei panni di Kitty e rifatto da Ronald Neame, nel 1957 con il titolo Il settimo peccato. Il regista mette in campo la scelta autodistruttiva del protagonista che, pur non essendo un clinico, parte volontario per una missione rischiosa e ricca di insidie, al solo scopo di punire se stesso e la moglie. Spezzato dentro per il tradimento di Kitty, Walter, (in)consapevolmente, si lancia a capofitto nella sua nuova missione, fino a trovare la morte. Gli splendidi paesaggi cinesi fanno da cornice alla vicenda e rendono la pellicola ancora più melanconica ed affascinante. Sullo sfondo le ultime briciole delle dominazioni britanniche e l’opera subdola delle suore cattoliche che, in cambio del vitto, dell’istruzione e dell’alloggio, costringono i bambini poveri del villaggio ad abbracciare la religione cristiana. Splendida la fotografia di Stuart Dryburghg. Il titolo prende spunto da una frase del poeta inglese Percy Bisshe Shelley: “Non sollevare il velo dipinto che quelli che vivono chiamano vita” e rimanda, simbolicamente, al non squarciare il velo delle illusioni che ricopre la vita.
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