Sull’isola di Faro nel mar Baltico trascorrono le vacanze Karin (Harriet Andersson) una schizofrenica, da poco dimessa da una clinica psichiatrica, Martin (Max von Sydow) il marito medico, il fratello Minus (Lass Passgård) ed il padre, David (Gunnar Björnstrand) noto scrittore. Travolta dai propri deliri Karin si alza di notte dal letto e si reca in soffitta, convinta di sentire delle voci provenienti dalla carta dei parati che le dicono che prima o poi tra quelle quattro mura incontrerà Dio. Martin l’ama ma non è in grado di contenere le sue angosce e David, preoccupato solo della sua carriera di scrittore, la guarda con commiserazione e, convinto che non potrà più guarire, appunta nel proprio diario delle gelide annotazioni sul suo stato di salute, con l’idea di poterle utilizzare per un prossimo romanzo. Sull’isola il clima si fa sempre più cupo e pesante e Martin, impotente di fronte alla malattia della moglie, attacca David, accusandolo di essere un egoista e di aver anteposto il proprio successo agli affetti familiari; l’anziano scrittore, dopo aver replicato alle sue accuse, gli rivela di aver tentato in passato il suicidio e che a tenerlo in vita è solo il pensiero dei suoi cari. A Minus, un adolescente sensibile ed inquieto, Karin confida di essere sempre più lontana da Martin e, dopo aver letto il diario del padre, cade in uno stato di profondo sconforto. Minus cerca di consolarla e finisce a letto con lei. L’equilibrio psicologico della donna già profondamente minato, crolla definitivamente ed è ricoverata nuovamente in un ospedale psichiatrico.
Bergman riduce l’intera vicenda nell’arco di ventiquatt’ore ma la satura di emozioni che traboccano da ogni scena. L’inizio sembra rimandare ad una piacevole vacanza di un’allegra famigliola ma dalle prime affermazioni di Karin s’intuisce che più di una nuvola si profilerà all’orizzonte. Mentre passeggia con Minus, Karin gli chiede se ha sentito dei suoni in lontananza e poi, amaramente, commenta: “E’ strano ma dolo la malattia l’udito è diventato più cauto. Saranno stati gli ESK.” Bergman riduce al massimo le scene corali e lascia che i personaggi della vicenda si confidano i propri tormenti nel corso di prolungati faccia a faccia. Bergman non vuole spettacolarizzare la follia della protagonista e la mostra mentre, inginocchiata, e con le mani giunte in preghiera, attende qualche segnale che dovrebbe giungerle dalle pareti e confermarle l’arrivo di Dio. Il suo equilibrio sempre più in bilico con l’avanzare delle sequenze precipita, inevitabilmente, dopo aver letto le frasi annotate nel diario del padre: Il regista svedese lascia fuori campo la scena incestuosa tra Karin e Minus e, spogliandola da qualsiasi fantasia pruriginosa, l’ammanta di una infinita disperazione. La follia di Karin esplode in tutta la sua potenza nel fulgido finale. Peccato per il finale retorico, intriso di cattolicesimo di maniera. Il titolo è tratto dalla Prima Lettera ai Corinti di San Paolo. Musiche di Bach. Primo film della trilogia sul “Silenzio di Dio” insieme a Luci d’inverno ed a Il silenzio. Oscar 1962 come miglior film straniero.
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