Ludovico Massa (Gian Maria Volontè) detto Lulù, operaio metalmeccanico, è un campioncino del cottimo. I padroni della fabbrica sono così soddisfatti che adeguano agli altri operai i suoi ritmi di produzione. Ossessionato dall’idea di perdere l’invidiabile primato, torna a casa sempre più stanco e spompato, al punto che non riesce più a fare più l’amore con la moglie Lidia (Mariangela Melato). Solo e senza amici, Lulù ogni tanto va a far visita a Militina (Salvo Randone) un vecchio operaio finito in manicomio. Un giorno Lulù perde un dito in una pressa e prende coscienza dello sfruttamento che ha subito in tutti quegli anni. Sposa la causa sindacale e rischia di essere licenziato per motivi politici. E’ riassunto ma abbandona il sindacato perché lo giudica troppo morbido e si schiera con un gruppo di extra parlamentari. Sconnette sempre più, fino a vaneggiare che se la classe operaia infrange un muro, va in paradiso.
Film durissimo, soffocante e senza speranza, divenuto uno dei capisaldi del cinema italiano d’impegno politico e civile. Petri affonda il dito sulle contraddizioni del proletariato, sulle ambiguità del sindacato e suggerisce l’idea della follia come unica via di fuga da una realtà insostenibile. Con una perfezione quasi maniacale il regista disegna la figura di Lulù, un operaio abbagliato dal sogno del benessere borghese capitalistico che nei quindici anni di lavoro in fabbrica, per guadagnare qualche spicciolo in più si era spersonalizzato a tal punto da diventare un automa. Dopo l’incidente in fabbrica Lulù è solo, confuso, disorientato e va a trovare in manicomio l’amico Militina. I degenti continuano a fissare, con lo sguardo inebetito, un anonimo cortile da un finestrone protetto da una grata; Militino, invece, è seduto su una panchina e sta strappando un paio di pagine da un libro che mette, poi, furtivamente, in tasca. Dopo avergli raccontato che era impazzito, alienato dai ritmi della catena di montaggio, prima di salutarlo gli dice:“In questo inferno, su questo pianeta, pieno di ospedali, manicomi, di cimiteri, di fabbriche il cervello a poco a poco se ne scappa, sciopera, sciopera”. Il regista affida a Militina i panni del matto ma, in realtà, lo descrive come l’unica persona in grado di leggere correttamente i dati di realtà e di spingere Lulù a prendere coscienza della propria condizione di operaio alienato che deve lottare per abbattere la società capitalistica. Palma d’oro al Festival di Cannes e David di Donatello come miglior film.
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