Frances di Grame Clifford – USA – 1983 – Durata 137’

23 Novembre 2020 | Di Ignazio Senatore
Frances di Grame Clifford – USA – 1983 – Durata 137’
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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La sedicenne Frances Farmer (Jessica Lange) declama in una pubblica assemblea uno scritto che ha per tema la morte di Dio. Il saggio è premiato ma suscita le immancabili polemiche dei bigotti e dei benpensanti locali. Trascorrono due anni e Frances, divenuta una diva del cinema, ritorna a Seattle da trionfatrice. Ma il suo spirito ribelle ed anticonformista non si sposa con i progetti della casa di produzione che vogliono trasformarla in una graziosa e sorridente sexy-simbol. Dopo aver accettato un matrimonio di facciata con un attore da strapazzo imposto dai produttori, Frances s’imbatte in Clifford Odets (Jeffrey DeMunn) un regista teatrale di talento che dirige il Group Theater e che le fa da Pigmalione. I due diventano amanti, Frances rompe il contratto e la sua casa di produzione le dichiara guerra. Perseguitata da fotografi e da cronisti a caccia di scoop, Frances inizia a bere e, dopo un arresto lampo, è condannata a sei mesi di reclusione. Grazie agli avvocati ed all’energico intervento di sua madre Lilian (Kim Stanley) è ricoverata in una lussuosa clinica per malattie mentali e presa in cura dal dottor Syminghton (Lane Smith) che la sottopone ad ESK e ad insulino-terapia. Dimessa, Frances medita di dare un taglio alla vita frenetica di Hollywood  e ritorna a casa dalla madre, una donna assillante, frustrata ed intrusiva che non vede l’ora che lei calchi nuovamente le scene. Frances si ribella e sua madre, pur per avere il totale controllo suoi affari economici e legali, la fa interdire e la ricovera in manicomio dove è sottoposta ad ESK-terapia ed alla lobotomia. Prima di cadere nell’oblio, Frances ricompare, anni dopo, in televisione, intervistata all’Ed Sulllivan Show.

Tratto dalla vera storia di Frances Farmer, il film è un accecante ritratto di Hollywood degli Anni Trenta, un atto d’accusa contro il conformismo di quegli anni e le istituzioni psichiatriche (pubbliche e private) totalizzanti. Incapace di accettare anche il più piccolo compromesso, Frances affronta i suoi interlocutori a muso duro ma, dopo aver rovinato carriera ed affetti, finisce, inevitabilmente, per spezzarsi dentro. Dopo essere stata ricoverata nella clinica privata, Frances riesce ad uscire da quell’inferno ma finisce tra le grinfie di Lilian, una delle madri più disturbate che la storia del cinema ricordi e che, utilizzando il proprio potere, la ricovera in manicomio ogni qual volta prova a ribellarsi alla sua volontà,. Sullo sfondo l’affettuosa amicizia di Frances con Harry York (Sam Shepard) un amico di vecchia data che, invano, l’invita a fuggire via con lui e ad abbandonare la madre. Nelle ultime battute, il regista ci regala l’agghiacciante sequenza di uno psichiatra che prima di sottoporre Frances alla lobotomia, loda i vantaggi della tecnica da lui perfezionata: Ispirato all’autobiografia di Frances Farmer “Will there really be a morning?”, pubblicata dopo la sua morte, negli anni Settanta.

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