Nel 1955 a Monaco di Baviera Robert Krohn (Hilmar Thate) un giornalista sportivo conosce per caso Veronika Voss (Rosel Zech) una famosa attrice dell’UFA durante il Terzo Reich e rimane affascinato dal suo strano e nevrotico comportamento. Il cronista comincia a frequentarla sul set di un film dove lei sta interpretando un piccolo ruolo ed apprende che è prigioniera della dottoressa Marianne Katz. (Annemaria Duringer) una psichiatra senza scrupoli che somministra ai propri pazienti della morfina, li induce alla tossicomania per costringerli, poi, a lasciarle in eredità i loro beni. Ed, una volta sfruttati, se ne sbarazza, inducendoli alla morte. Con l’aiuto della sua amica Henrietta (Cornelia Froboess), Krohn prova ad incastrare la dottoressa ma il suo tentativo fallisce ed Henrietta è assassinata dai complici di Katz. La dottoressa non somministra più morfina a Veronika che, incapace di reggere lo stato d’astinenza, si uccide ingerendo una dose di sonniferi.
Ispirato all’attrice degli anni ’30 Sybille Schmitz, morta suicida e dimenticata da tutti, il penultimo film di Fassbinder chiude la tetralogia sulla Germania post-bellica. Dopo Maria Braun, Lili Marleen e Lola, il regista tedesco scolpisce un altro incisivo ritratto femminile, rendendo omaggio a Billy Wilder (Viale del tramonto) a Fritz Lang, al cinema muto espressionista ed al noir. Tra fantasmi, ombre del passato, paure del presente, la parabola di Veronika Voss allude al malinconico tramonto di un’attrice abituata a dispensare illusioni e costretta a ingannare se stessa. Spenti i riflettori, lontana dai clamori del successo, assalita dal vuoto e dalla noia, trova nella morfina il balsamo che lenisce le sue ferite. Fassbinder attraversa con nostalgica melanconia il tema del passato e della memoria e confeziona un palpitante esempio di cinema nel cinema, dove la vita e la fiction si confondono e si perdono l’una nell’altra La dottoressa Katz è una delle psichiatra più algide e ciniche che la storia del cinema ricordi e si muove sullo schermo come una statua di sale, incapace di provare anche la più piccola emozione. Bianco e nero da incorniciare. Orso d’oro al Festival di Berlino del 1982.
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