Due film, tra i più famosi interpretate dal grande Totò, festeggiano nel 2021 un compleanno “tondo”; “Guardie e ladri”, diretto da Mario Monicelli, compie settant’anni e “Totò truffa”, per la regia di Camillo Mastrocinque, ne fa sessanta.
“Guardie e ladri” narra di Ferdinando Esposito (Totò), un poveraccio che, con l’aiuto di un complice (Aldo Giuffrè), vive di piccoli espedienti truffaldini. Sulla sua strada Bottoni (Aldo Fabrizi), una guardia sospesa dal servizio fin tanto che non lo acciufferà. Strana la storia di questa magistrale e divertente commedia di costume. Monicelli dovette sudare, infatti, le proverbiali sette camicie per convincere i funzionari del Ministero dello Spettacolo che il film non aveva intenti destabilizzanti per la società. Infatti, al tempo, sembrava inconcepibile l’idea che una guardia che fraternizzasse con un ladro. L’idea di affiancare Fabrizi a Totò fu di Carlo Ponti e la lavorazione, nonostante il carattere certo non facile di Fabrizi, filò senza intoppi. La pellicola ebbe un grande successo di pubblico, non solo per la verve dei due interpreti e la magistrale regia di Monicelli, ma perché Totò, a differenza dei film precedenti, non puntava alle battute, alle smorfie e ai giochi di parole, ma incarnava un personaggio che, pur vivendo di truffe e raggiri, era un povero diavolo, sensibile, tenero e ricco di umanità.
Dieci anni dopo in “Totò truffa 62”, esilarante commedia farsesca, il “principe della risata” veste nuovamente i panni di un geniale mascalzone. E’ Antonio Peluffo, signore distinto ed elegante, grande trasformista, che vive di espedienti per mantenere la figlia Diana in un rinomato collegio svizzero. Grazie alla complicità di Felice (Nino Taranto), Antonio, riesce a truffare degli sprovveduti, ma sulle sue tracce c’è il commissario Malvasia (Ernesto Calindri). Il film è un susseguirsi di gag esilaranti. Memorabili le scene della vendita della Fontana di Trevi all’ingenuo e credulone Ugo D’Alessio, quella con Totò travestito da donna che, con l’aiuto di Taranto (imbambola il padrone di casa (Luigi Pavese), al quale deve mesi d’affitto arretrato, con un indimenticabile “Lei, Con quegli occhi mi spoglia, spogliatoio” e di Totò e Taranto che si travestono da ambasciatori del Katonga ed escono dall’albergo travestiti da Fidel Castro e signora. Curiosità; per tutta la durata del film non riuscì a dare del tu a Totò che alle fine si indispettì moltissimo. La famosa fontana di Trevi non era opera di Bernini, come Totò dichiara erroneamente nel film, bensì degli scultori Lambert-Sigispert Adam, Nicola Salvi e Pietro Bracci.
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