“Quando diciamo che un film é brutto?”

12 Aprile 2022 | Di Ignazio Senatore
“Quando diciamo che un film é brutto?”
Articoli di Ignazio Senatore sui rapporti tra Cinema e psiche
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Nei suoi scritti, Freud afferma che ogni opera artistica è frutto di una trasformazione delle pulsioni sessuali che avviene mediante il meccanismo della sublimazione e aggiunge:”La comprensione estetica non risiede tanto nell’intenzione di partenza dell’artista quanto nella successiva ricreazione della sua opera da parte del pubblico.” Un’opera d’arte ci mette, quindi, in contatto con il nostro inconscio e nella valutazione di un prodotto artistico entra in gioco un’area psichica che mescola interno ed esterno, fantasia e realtà. La psicoanalisi, a dire il vero, si è occupata più della genesi dei processi creativi più che dell’analisi delle categorie estetiche ed ecco allora la definizione di “brutto” riportata dalla Treccani: “Che produce un’impressione estetica sgradevole, perché difettoso, sproporzionato, privo di grazia, o per altre ragioni spiacevole. E’ il diretto contrario di bello.” Seppure chiara e sintetica, lascia ampie zone d’ombra e non fornisce di fatto una risposta esaustiva.

Per Douglas Sirk “nel momento in cui in un film inizia a predicare, nel momento in cui si vogliono dare insegnamenti al pubblico, ecco che allora si sta realizzando un brutto film.” Più lapidario Orson Welles: “un film recitato male è un brutto film.” Chiude il cerchio Pupi Avati con “Da una bella sceneggiatura è impossibile fare un brutto film e viceversa.” A farci fare un piccolo passo in avanti nella definizione di “film brutto” potrebbe essere questa dichiarazione di Francois Truffaut: “I film respirano attraverso i loro difetti. Il capolavoro è irrespirabile”. Il Maestro della Nouvelle Vague lascia intendere, infatti, che imperfezioni e smagliature possono addirittura accrescere la bellezza di un film che, all’opposto, se troppo perfetti potrebbero essere indigeribili. Prendiamo, ad esempio, E’ stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino. La vicenda certamente appassiona, gli attori sono in gran spolvero, non mancano le suggestioni intimistiche, venate anche da vicende autobiografiche dolorose, eppure come non prendere le distanze da una scelta visiva fin troppo estetizzante e da un’esasperata ricerca delle belle inquadrature? Seguendo il parametro truffauttiano, lo si potrebbe, quindi, considerare un film “brutto”? A sostegno di questa tesi Umberto Eco, nel capitolo Sulla bruttezza, tratto dal suo Sulle spalle dei giganti (2017), annota: “il bello è distacco, assenza di passione. Il brutto invece è passione”. Da ciò ne discende che un film brutto potrebbe addirittura essere più affascinante e coinvolgente di un altro giudicato positivamente.  Ci viene in soccorso Mario Mattoli: “Ci sono film d’arte, come certi film anche di Rossellini, che non restano, che al pubblico non dicono più niente. Sono andato a rivedere in un cinema di periferia un film di Totò mio e il pubblico rideva. Fare una cosa banale, semplice e farla che rimanga è la cosa più difficile. Mi potete anche sputare in faccia, ma forse è più difficile fare “Totò sceicco”, che rimane, che fare un film d’arte che nessuno del pubblico vero vede più.“ Mattoli ci ricorda che nel giudicare esteticamente un film bisogna tener conto del trascorrere del tempo e che, dopo decenni, alcuni capolavori possono ingiallire mentre altri, non apprezzati all’uscita in sala da pubblico e critica, possono reggere maggiormente l’usura del tempo fino ad entrare di diritto nell’ambita categoria dei “cult movie”. Mattoli ci rimanda, inevitabilmente, a Karl Rosenkraz che, nel suo Estetica del brutto (1853), affermava: “il bello non può essere separato dal brutto” e che, a volte, è proprio questa misteriosa miscela ad attrarci magicamente.

E’noto, altresì, che il concetto di “brutto” rimanda a quelli di “relativo” e di “assoluto” e che i parametri di riferimento sono mutevoli a seconda dei gusti del tempo e non possono che essere  soggettivi.  Tutte queste riflessioni mi spingono a ipotizzare che, a ben vedere, definire un film “brutto” è un’operazione articolata e complessa. Il brutto è, infatti, una categoria dello spirito e etichettare un film in tal modo significherebbe, per certi aspetti elevarlo e attribuirgli un valore “alto”. Probabilmente, la maggior parte dei film definiti in maniera liquidatoria “brutti”, sono soltanto opere sgrammaticate e poco ispirate e la gran parte dei registi che le hanno dirette solo dei modesti artigiani della macchina da presa che non possono nemmeno fregiarsi, come il grande Ed Wood, del titolo de “il peggior regista  tutti i tempi”. Solo adesso comprendo che, avendo pubblicato un volume intervista con Lando Buzzanca (Io, Lando Bizzanca Conversando con Ignazio Senatore) e il successivo con Alvaro Vitali (Non solo Pierino), due attori simbolo del cosiddetto cinema “basso” italiano, proclamo che non esistono film brutti. Parafrasando, infatti, quanto dichiarato da Jacques Laurent, il regista porno, protagonista de Le pornographe di Bertand  Bonello, non posso che affermare che in ogni film“ci si può sempre aspettare qualche secondo di bellezza.”

Articolo pubblicato sulla Rivista 8 1/2 N. 64- Marzo 2022

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