In un piccolo villaggio di baraccati, alla periferia di Torino, Anna (Clelia Matania), madre di Maria, rimasta vedova, per sbarcare il lunario, lascia credere che la figlia quattordicenne (Cinzia De Carolis), quando entrata in trance, abbia delle capacità divinatorie.
La ragazzina è epilettica e soffre di catalessia e, dopo l’ennesima crisi, la credono morta. Lei però si risveglia e per tutti è la conferma che si tratta di un miracolo e che lei è una santa. Don Vito (Turi Ferro), il prete del villaggio, con l’aiuto del nipote chierichetto (Alvaro Vitali), cerca di comprendere cosa si celi dietro questi eventi misteriosi e deve tenere anche a bada anche un santone lucano (Leopoldo Trieste), che vive, vendendo ai baraccati dei filtri d’amore.
Maria resta incinta, ma il dottore dice che è vergine perché ha l’imene intatto. Nel villaggio si diffonde la voce che il concepimento sia opera dello Spirito Santo e la casa di Maria diventa un luogo di culto.
Accorrono le televisioni e Don Vito va alla caccia di chi ha messo incinta Maria. Scoprirà che è stato il nipote Sei quello che mette incinta Maria e Turi Ferro li sposa ma la folla, considera ormai Maria una prostituta e la lapida fino a farla abortire.
Nasca non tradisce il suo cinema autoriale e impagina una pellicola che punta il dito sulle falsa credenze che si sviluppano intorno al tema del sacro specialmente in quelli ambienti che, per tollerare la dura realtà che li circonda, sono “costretti” a credere nei miracoli.
Il regista romano, provocatoriamente, inserisce delle scene che, al di là del tema scivoloso trattato, furono giudicate blasfeme.
Vitali, infatti, schiaccia le noci con un crocefisso e poi fa il gioco delle tre carte che rappresentano un santino, Gesù e il demonio; Turi Ferro non riesce mai ad indovinare la carta vincente, che risulta essere sempre quella del demonio.
Nasca descrive da un lato Don Vito, come un uomo semplice che, di fronte agli eventi che lo travolgono, rimette in discussione le proprie credenze religiose e si schiera con la povera gente e dall’altro lo spocchioso cardinale, interpretato da Tino Carraro, simbolo del potere, dell’ipocrisia e della doppiezza della Chiesa. Come prevedibile, il film scatenò l’ira dei bigotti del tempo e fu sequestrato per “vilipendio alla religione”.
Ritornò nelle sale dopo un anno e mezzo con il titolo Malia, Vergine e di nome Maria, modificato dalla produzione. Sullo sfondo lo sbarco dell’uomo sulla Luna e l’atavico razzismo di certi abitanti del Nord nei confronti dei meridionali, saliti dal Sud per cercare di guadagnare un tozzo di pane.
Nel cast una convincente Andrea Ferreol, Enzo Cannavale, Marino Masè e Sergio Solli.
Per l’intervista ad Alvaro Vitali e le schede dei suoi film, si rimanda al volume “Non solo Pierino” di Alvaro Vitali e Ignazio Senatore , Falsopiano Editore (2020).
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