Ricominciamo da tre: Bencivenga, Spagnoli e Martone (e in più Veneruso) omaggiano Troisi.

15 Ottobre 2023 | Di Ignazio Senatore

Massimo Troisi avrebbe compiuto il 19 febbraio settant’anni. Tre i registi che con i suoi doc gli rendono doverosamente omaggio.

 

Alessandro Bencivenga dirige il doc Il mio amico Massimo Troisi, impreziosito dalla voce off di Lello Arena, che funge anche da voce narrante assieme all’attrice Cloris Brosca.

In apertura Gerardo Ferrara é intervistato nella sua casa di Sapri. Il sosia di Troisi ne Il Postino, ricorda come il suo compito non fosse solo quello di fungere da controfigura di Troisi ma soprattutto quello di alleviare le sue fatiche sul set.

Dopo aver mostrato un volume con la dedica affettuosa di Troisi, Ferrara ricorda come lo stesso gli avesse promesso che, al termine della lavorazione del film, sarebbe andato a trovarlo a Sapri per riposarsi un po’.

La scena si sposta a San Giorgio a Cremano, dove il giovane Massimo allestì, nella parrocchia di Sant’Anna, uno spettacolo, dal titolo Crocifissioni d’oggi, ma fu cacciato via dal prete assieme alla sua compagnia, perché aveva affrontato dei temi ritenuti tabù come quello della droga e dell’aborto.

Come il titolo del doc suggerisce, il regista lascia sfilare gli amici di sempre di Troisi.

Carlo Verdone ricorda come Massimo, divenuto ormai molto noto, per evitare di essere assalito dai fan, lo costringeva ad andare al cinema al primo spettacolo e in delle sale mai al centro di Roma.

Nino Frassica e Renzo Arbore raccontano come nacque la sua partecipazione a Indietro tutta e, maliziosamente, lasciano intendere che Troisi frequentasse il loro programma perché attratto dalle giovani e piacenti ragazze coccodè.

Seguono le testimonianze di Pippo Baudo, Clarissa Burt, una delle tante fiamme di Troisi, e Maria Grazia Cucinotta che ricorda come Troisi, consapevole che lei avesse poca esperienza come attrice, si offrì, generosamente, di leggere più volte insieme a lei il copione.  

A seguire Massimo Bonetti svela come Troisi gli avesse chiesto di adottare  nel film Le vie del Signore sono finite, il dialetto frusinate e Roberto Benigni, in un filmato di repertorio, che recita la poesia dedicata al regista-attore di San Giorgio a Cremano.

Gustosi anche gli omaggi regalati dagli altri attori che avevano recitato al fianco di Massimo; Renato Scarpa, Carlo Monni, Angelo Orlando, Alessia Salustri e Mariano Rigillo. Non potevano mancare, infine, gli aneddoti degli amici di sempre di Massimo; Alfredo Cozzolino e il produttore Gaetano Daniele.

Completano il quadro le testimonianze di Ficarra e Picone, che raccontano come hanno riproposto, assieme a Lello Arena il notissimo sketch Annunciazione.

Un doc che non contiene scene tratte dai film di Troisi ma che attinge a dei materiali inediti di repertorio degli archivi della Rai e dell’Istituto Luce; tra questi il backstage de Le vie del Signore sono finite, diretto nel 1987.  

Bencivenga introduce delle scene che mostrano un attore che impersonifica un Troisi bambino che gioca a calcio con i coetanei, bighellona per strada e si diverte con loro.

Tra i pregi una certa spontaneità, la testimonianza melanconica di Noiret, intervistato al suo arrivo al Lido nel ‘94 e quelle inedite di Verdone e Cucinotta che ricordano come avessero pianto durante tutta la proiezione de Il postino alla Mostra del Cinema di Venezia. Piacevolissima, infine, la colonna sonora firmata da Giovanni Block.

Marco Spagnoli, invece, ricorda Troisi nel suo doc Buon compleanno Massimo per Rai 3 e lascia che Maurizio De Giovanni funga da file rouge e leghi il materiale di repertorio e le testimonianze di chi ha conosciuto e/o condiviso il proprio percorso professionale con l’attore-regista di San Giorgio a Cremano.

Non poteva mancare Enzo Decaro, che diede vita assieme a Lello Arena e allo stesso Troisi del gruppo de I saraceni, divenuto poi La Smorfia. Sfilano, poi, Eugenio Bennato, Massimiliano Gallo (che legge la poesia O ssaje comme fa ‘o core scritta da Troisi e musicata da Pino Daniele), Maurizio Casagrande, Pietra Montecorvino, lo scultore Lello Esposito e Frank Matano.

Seguono Nini Salerno, Franco Oppini, Umberto Smaila e Jerry Calà che si esibirono nel programma televisivo “Non stop” di Enzo Trapani, dove La Smorfia mosse i primi passi e raggiunse la celebrità.

Sfilano, inoltre, Roberto Vecchioni, autore di Luci a San Siro, brano molto amato da Troisi, che rimproverò il cantautore milanese, figlio di genitori napoletani, di non averlo intitolato “Luci al San Paolo”.

A seguire Ferzan Ozpetek, assistente volontario in “Ricomincio da tre”, Renzo Arbore che ricorda la partecipazione di Troisi a Indietro tutta, con la gag legata a Rossano Brazzi, Vittorio Cecchi Gori, produttore de “Il Postino” e Roberto Perpignani, montatore de “Il postino” che  racconta come sul set del film diretto da Michael Radford, a causa dei problemi di salute, Massimo poteva girare al massimo due ore al giorno a con l’autoambulanza sempre pronta ad intervenire.

 

Emerge il ritratto di un’artista che si è sempre battuto contro la retorica e i luoghi comini su Napoli e i napoletani e che, con la sua graffiante ironia, ha svecchiato il panorama cinematografico italiano.

Tra i commenti più significativi quelli di Nino D’Angelo: “Era uno che piaceva a tutti, Non divideva la città”, di Fabio Fazio: “Era un comico che non era aggressivo, che non utilizzava l’eccesso” e di Francesca Neri, al suo fianco in Pensavo che fosse amore e invece era un calesse, che svela come Troisi aspirasse a non essere considerato un comico, ma un attore e che sognava di essere apprezzato in America.

Ma, a ben vedere, li momenti più toccanti del doc sono quelli nei quali compare Rosaria, sorella di Massimo; che lo ricorda, trattenendo la commozione.

Dulcis in fundo (in ordine di uscita) il doc Laggiù qualcuno mi ama di Mario Martone presentato all’ultima Berlinale.

Massimo Troisi era n attore amatissimo, e non solo da noi napoletani, ma per me non era solo un grande attore e un grande comico, era un regista di speciale grandezza, i cui film costituivano, a mio avviso  un unico discorso cinematografico. Un cinema che si esprimeva per frammenti, per soprassalti improvvisi, alternava pieni e vuoti, ora era acceso, ora stanco, Il cinema di Troisi era bello perché aveva la forma della vita.”

E’ questo l’incipit del doc il cui titolo  richiama, inevitabilmente, Lassù qualcuno mi ama (1956) di Robert Wise, scelto, invece, probabilmente, per sottolineare come Troisi fosse entrato nel cuore degli spettatori per quel suo senso di perenne  incertezza, spaesamento e fragilità, diventate nel tempo la sua marca di riconoscimento.

Dopo aver omaggiato Eduardo De Filippo (Il sindaco del Rione Sanità,) Eduardo Scarpetta (Qui rido io) ed  Ermanno Rea (Nostalgia), Martone continua nell’immersione nella sua Napoli, rendendo tributo ad uno degli attori più amati del cinema italiano degli ultimi decenni.

Martone azzarda un paragone tra Troisi e l’Antoine Doinel, di truffauttiana memoria, e lascia che il tema dell’amore, declinato, con sfumature diverse, in tutti i film dell’attore-regista di San Giorgio a Cremano faccia da file rouge e leghi le interviste a Francesco Piccolo. Goffredo Fofi, Paolo Sorrentino, Ficarra e Picone, i critici Federico Chiacchiari e Demetrio Salvi (autori del primo e unico saggio a lui dedicato quando era ancora in vita), Michael Radford, regista dell’indimenticabile  Il postino e il montatore Roberto Perpignani.

Non mancano le sorprese; su tutte la voce d Troisi incisa su un nastro magnetico, che in una sorta di seduta psicoanalitica, con la Pavigano (compagna e co-sceeneggiatrice di tutti i film di Troisi) e una sua amica, in veste di terapeuti, si racconta con la proverbiale onestà e sincerità.

Non meno evocativi gli spunti e le riflessioni che lo stesso Troisi aveva appuntato, in ordine sparso su dei fogli di quaderno, custoditi gelosamente dalla Pavignano.

Arricchito da filmati di repertorio (nei quali compaiono, tra gli altri, Dario Fo e Giuseppe Bertolucci)  e da tantissime scene tratte dai film dell’attore- regista, il doc ti avvolge e lascia l’amaro in bocca perché, prendendo spunto da una poesia di Troisi, ricorda come la morte, nel suo caso, abbia troppo presto scalzato via la sorte.

A chiudere il cerchio il film Da domani mi alzo tardi, che Stefano Veneruso ha tratto dal romanzo omonimo di Anna Pavigano, compagna di vita e co-sceneggiatrice di tutti i film di Massimo Troisi,  edito da E/O, pubblicato nel 2008.

L’autrice, nella sua opera, immaginava che l’attore-regista di San Giorgio a Cremano, dopo aver interpretato Il postino, non fosse morto, ma che, volando in America, avesse scelto di far perdere le sue tracce.

Venti anni dopo, sarebbe ricomparso e, preso in affitto un appartamento, le avrebbe chiesto di riscrivere insieme un’altra sceneggiatura. Stefano Veneruso, nipote di Troisi, e assistente alla regia de Il postino di Michael Radford, ha ambientato il film tra Napoli, Roma e una località imprecisata dell’America e. fedele al romanzo, più che riproporre la vita artistica di Troisi, lascia che la vicenda ruoti intorno alla storia d’amore tra Anna (Gabriella Pession) e Massimo (John Lynch).

Lei, sposata, non solo ricorda ogni momento vissuto un tempo insieme ma, ma ancora affascinata da lui, si perde nuovamente tra le sue braccia e prova, invano, a spingerlo a scrivere un soggetto per il nuovo film; Massimo, invece, pigro, indolente, allergico alle responsabilità, dopo aver ricevuto un nuovo trapianto cardiaco, si sente spento e crede di non aver artisticamente più niente da dire.

Veneruso, mosso dall’amore per lo zio, ha affrontato con coraggio questa prova e diretto un film non privo di rischi; su tutti la difficile scelta di un attore che avrebbe dovuto interpretare Troisi, ricaduta sorprendentemente poi sull’attore britannico, noto per le sue prove in Nel nome del padre, Sliding doors e Best.

Purtroppo Lynch ha per tutto il film un’aria fin troppo depressa e imbronciata e non appare in grado di calarsi in un personaggio che, per la sua apatia e il disincanto rispetto alla creazione artistica, sembra avere come modello alto di riferimento, quello di Friederich Munro di Lisbon Story di Wim Wenders (1994).

Al film mancano delle sottostorie che avrebbero potuto arricchire la vicenda cristallizzata, invece, sui dialoghi fiacchi ed evanescenti dei due protagonisti.

La passione tra Anna e Massimo non esplode e l’amore che dovrebbe divampare tra i due e incendiare poi la vicenda ha tutt’al più la forza di una piccola fiammella. Il film ha un passo televisivo e non è privo di nei (su tutti il doppiaggio in napoletano di Lynch) ma è arricchito da Sirenuse, brano inedito di Pino Daniele. Nel cast Douglas Dean, Leda Conti e Nicoletta D’Addio.

Articolo pubblicato sul volume “Massimo Troisi” a cura di Giuseppe Mallozzi -Edito da Aliribelli- 2023

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