USA, 1998. Coleman Silk (Anthony Hopkins), ex preside di facoltà e stimato docente di lettere classiche al Latina College nel Massachusetts, nel corso di una lezione appella due studenti (che non hanno mai frequentato le sue lezioni e che non conosce) come “zulu”.
I due studenti sono afroamericani, protestano e accusano Coleman di essere razzista. Nessun professore lo difende e lui, indignato, si dimette. La moglie, per lo scandalo, muore sul colpo e Coleman, deciso a dare battaglia, si rivolge allo scrittore Nathan Zuckerman (Gary Sinise) perché scriva un libro sulla sua vicenda.
Nathan, seppur lusingato dalla proposta, rifiuta e convince Coleman a redigere di suo pugno la propria autobiografia. Coleman accetta, ma poi vi rinuncia anche perché nella sua vita irrompe Faunia Farely (Nicole Kidman), una donna delle pulizie, selvatica e impulsiva, molto più giovane di lui, con un oscuro passato alle spalle e con il suo ex marito Lester (Ed Harris), appena uscito di prigione, che continua pericolosamente a ronzarle intorno.
Un flashback ci riporta indietro negli anni Quaranta quando Coleman era studente. Dopo una breve storia con Steena Paulsson (Jacinda Barrett), raccoglie a scuola il massimo dei voti ed inizia ad allenarsi in palestra come pugile, vincendo un incontro dietro l’altro.
Il padre gli vieta di proseguire la carriera pugilistica e lui si iscrive ad Harvard, ma continua a celare dentro di sé un inquietante segreto; pur essendo un nero bianco, per non subire le discriminazioni razziali, si è finto ebreo. Un evento tragico spingerà Zuckerman a scrivere il romanzo La macchia umana sulla vita di Coleman.
Nell’impaginare un film sull’ipocrisia americana, sulla mai doma intolleranza razziale, Benton (Kramer contro Kramer, Una lama nel buio, Le stagioni del cuore, Twilight, Feadt of love…) traspone stancamente sullo schermo il romanzo di Philip Roth, ispirato alla reale vicenda di Anatole Broyard, critico letterario del “New York Times”.
In un continuo saltellare tra presente e futuro, Benton affida (stranamente) il ruolo di Coleman giovane a Wentworth Miller, attore che non lascia dubbi sulle sue origini afroamericane e quello dell’anziano preside al “bianco” Anthony Hopkins.
Una scelta la sua (obbligata?) per non svelare il colpo di scena finale e dare un pizzico di sale ad una vicenda che però non intriga, né appassiona fino in fondo.
Infatti, il film, stilisticamente perfetto, si dipana senza grandi colpi d’ala ed è inondato dalla voce fuori campo di Zuckerman che ha il compito di riannodare i fili della storia.
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