Tralasciando i boccacceschi degli Anni 70’, “Cristo si è fermato ad Eboli” di Rosi e “L’albero degli zoccoli” di Olmi, “, cinque i film, a mio parere, i più rappresentativi.
In “Riso amaro” di Giuseppe De Santis (1949), un bandito (Gassman) ruba dei gioielli. Sta per essere arrestato in stazione ma, grazie alla complicità di Francesca, si aggregano con lei a un gruppo di mondine. Gassman scopre che il gioiello dato a Francesca, è falso e allora decide di rubare il carico di riso, custodito in un deposito. Per realizzare il piano, fa gli occhi dolci a Silvana (Mangano), una mondina, che diventa sua complice. Ma la tragedia è nell’aria. Film di marca neorealista che mostra lo sfruttamento delle mondine stagionali, reclutate a basso costo dai caporali del tempo, e lanciò la Mangano come icona sexy. Nel film compare Doris Dowling, sorella di Costance, di cui s’innamorò Cesare Pavese, che poi si ammazzò dopo che lei lo lasciò per l’attore Carlo Cecchi.
In “Novecento Atto I e Atto II” di Bernardo Bertolucci (1976), protagonisti il possidente terriero Alfredo (De Niro) e il contadino Olmo (Depardieu), nati nello stesso giorno (il 1 gennaio 900’), in una grande azienda agricola emiliana. Il film attraversa il ventennio fascista e termina il 25 aprile del 45, giorno della Liberazione. In questo grande affresco dell’epoca, Bertolucci punta il dito sullo sfruttamento dei contadini e mostra la nascita delle prime organizzazioni sindacali, boicottate dai fascisti.
Non meno evocativo “Padre padrone” di Paolo e Vittorio Taviani (1977).
Nato per la TV, su Rai 2, andò a Cannes, vinse la Palma d’oro e finì poi nelle sale. Protagonista il piccolo Gavino, costretto ad abbandonare la scuola e a badare al gregge. Poi cresce, studia, va all’università e si laurea in glottologia. Il film è tratto dall’autobiografia dello stesso Gavino Ledda.
E’ del 1975 “Quanto è bello lu morire acciso” di Ennio Lorenzini. Il film racconta la tragica impresa del duca Carlo Pisacane (Satta Flores), amico di Mazzini.
Parte con una nave da Genova, fa tappa a Ponza dove libera 323 detenuti e prova a rifornirsi di armi. Sbarca a Sapri, il 15 luglio 1857, e attende, invano, l’appoggio dei liberali napoletani, che non vedono di buon occhio l’impresa, perché con Pisacane ci sono anche degli ergastolani. Temendo fossero dei briganti, i contadini li circondarono e li uccisero. Chiude il cerchio “Allonsanfan” di Paolo e Vittorio Taviani (1978), il cui titolo rimanda liberamente alla Marsigliese. Protagonista Fulvio (Mastroianni), un nobile con velleità rivoluzionarie che, dopo essere uscito di prigione, ormai disilluso, si ritira nella sua villa. I rivoluzionari lo coinvolgono in una spedizione al Sud. Lui non ha più voglia di partire e, si accorda con il prete; indosserà una blusa diversa da quella rossa degli altri rivoluzionari, così sarà risparmiato. I soldati borbonici massacrano gli uomini della spedizione. Si salva, però, Allosanfan che, invece di raccontare a Fulvio la verità, delirando, gli dice che i contadini si sono uniti a loro. Fulvio, allora, indossa la giubba rossa ed è ucciso.
Articolo pubblicato sulla Rivista Il Corace – Ottobre 2024
Questo sito utilizza strumenti di raccolta dei dati, come i Cookie. Questo sito utilizza Cookie tecnici e di terze parti per fornire alcuni servizi. Maggiori Informazioni
Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.