Il tredicenne Antoine Doinel (Jean-Pierre Léaud) divora di notte Balzac ma di giorno frequenta, svogliatamente, la scuola.
Il professore, severo, autoritario e di vecchio stampo, lo umilia costantemente davanti ai compagni di classe e lo punisce con pene sempre più severe.
L’ambiente familiare non è accogliente ed Antoine deve fare i conti con la madre Gilbert (Claire Maurier) che non si prende cura di lui ed è in crisi con il marito Julien (Albert Rémy), padre adottivo di Antoine.
L’unico affetto su cui Antoine può contare è René (Patrick Auffay), il compagno di classe con il quale marina spesso la scuola, regalandosi gli unici momenti di gioia.
Antoine scopre che la madre tradisce il marito ma custodisce dentro di sé l’inquietante segreto. Il giorno successivo, per evitare l’ennesima assenza a scuola, racconta al maestro che la madre è morta, ma è immediatamente smascherato e punito.
In classe il maestro dà un tema su Balzac e lo accusa, ingiustamente, di aver copiato. Deluso ed incompreso, deciso a non ripresentarsi più a scuola e di non far ritorno a casa, si rifugia da René.
Per racimolare un po’ di soldi, ruba una macchina da scrivere dall’ufficio del padre di René, ma é scoperto e, mentre sta cercando di rimetterla dove l’aveva trafugata, è acciuffato dalla polizia e spedito in cella in compagnia di furfanti e prostitute e successivamente al riformatorio.
Un finale (indimenticabile) dove si respira aria di libertà, chiude il film.
Capolavoro che segna l’esordio di Truffaut (Tirate sul pianista, Jules et Jim, La mia droga si chiama Julie, L’ultimo metro, Finalmente domenica!…) e rese ancor più celebre la cosiddetta “nouvelle vague” francese.
In questo primo capitolo delle vicende del suo alter ego Antoine Doinel, il regista ambienta la vicenda a Parigi e pesca a mani basse nel proprio passato.
Truffaut, infatti, fu recluso al riformatorio di Vilejuif ed allevato da una madre algida ed insensibile che lo mise al mondo e sposò poi un uomo che gli diede il proprio cognome.
Il regista francese compone uno dei film più toccanti ed autenticamente sinceri sull’adolescenza negata e, sin dalle prime inquadrature, non si può non fare il tifo per questo ragazzino che s’aggira sullo schermo, solo, smarrito e privo d’affetto.
Per tutto il film Antoine vaga alla disperata ricerca di qualcuno che si prenda cura di lui ed è costretto a fare i conti con l’indifferenza, la freddezza e l’ingiustizia del mondo degli adulti con il quale tenta, invano, di entrare in contatto.
La madre è la classica moglie insoddisfatta che non sopporta più il marito, non vorrebbe avere tra i piedi il figlio e tuffarsi, invece, in una vita libera e spensierata; il padre è un brav’uomo e, anche se scherza con Antoine, è emotivamente distante e completamente assorbito dalla passione per le auto.
Con la mdp Truffaut pedina costantemente il giovane protagonista e, senza mai perderlo di vista, riesce, con delicatezza, a scavare dentro la sua anima ricolma di delusioni ed insoddisfazioni, fino a mostrarlo, nelle ultime battute del film quando, provando a mimare gli atteggiamenti degli adulti, beve e sfumacchia.
Il titolo rimanda ad una tipica espressione francese che significa “fare il diavolo a quattro”.
Piccole apparizioni dello stesso Truffaut, Jeanne Moreau, Jacques Demy, Philippe de Broca e Jean-Claude Brialy. Gran Premio per la regia al Festival di Cannes (1959).
Per un approfondimento sul tema con schede film e commento critiche si rimanda alla lettura di “Cinema mon amour I 100 film francesi da amare” di Ignazio Senatore – Classi Editore – 2024
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