In un caldo pomeriggio estivo, mentre in casa i familiari riposano, la sedicenne Agnese (Stefania Sandrelli) è sedotta da Peppino Califano (Aldo Puglisi), promesso sposo della sorella maggiore Matilde (Paola Biggio).
Il padre, Don Vincenzo (Saro Urzì) scopre la tresca e attende le nozze riparatrici.
Peppino, però, si rifiuta di sposare Agnese, accusandola di essere stata “troppo arrendevole” e lei, per pareggiare i conti, lo denuncia.
Don Vincenzo, intanto, per tacitare le malelingue del paese, lascia credere che Matilde si sia rifiutata di sposare Peppino e annuncia il suo fidanzamento con lo spiantato barone Rizieri Zappalà (Leopoldo Trieste).
Non pago, per lavare l’onore, Don Vincenzo ordina ad Antonio (Lando Buzzanca), l’impavido figlio, di uccidere Peppino, ma il piano fallisce. Agnese denuncia, allora, ai carabinieri il padre, il fratello e Peppino.
Finiti davanti al pretore, per evitare la galera, Peppino architetta un falso rapimento di Angela, preludio alle nozze riparatrici ma, spiazzando tutti, Angela si rifiuta di sposarlo.
Don Vincenzo non regge all’ennesima umiliazione e crolla ma, sul letto di morte, si fa promettere da Angela e Peppino le sospirate nozze.
Ennesimo capolavoro di Pietro Germi (Il ferroviere, Il maldetto imbroglio, Signore & Signori, Alfredo, Alfredo…) che ripropone le medesime atmosfere care a Divorzio all’italiana e mette alla berlina l’italica arretratezza culturale.
In questa spumeggiante e tragicomica commedia il regista genovese sceglie i toni grotteschi e caricaturali e narra una vicenda che ruota intorno all’atavica concezione che l’onore familiare debba essere un valore da salvare sopra ogni altra cosa, anche a scapito della felicità di una figlia.
Germi ambienta la vicenda a Sciacca e a Caltelbellotta, ricorre a dei flashback e, facendo appello al suo caustico e amaro umorismo, non solo prende le distanze dai matrimoni riparatori, ma si schiera apertamente dalla parte della giovane Agnese, una ragazzina che non vuole sposare chi ha abusato di lei e con il quale, in nome del famigerato onore familiare, dovrebbe vivere il resto della vita.
Con questo affresco impietoso della Sicilia (e non solo) degli anni Sessanta, Germi attacca l’ipocrisia imperante e non si fa scrupolo di prendere le distanze da un articolo del codice penale, allora vigente, che permetteva di non condannare chi, dopo aver rapito e violentato una donna, sposandola, “riparava” al torto da lei subito.
Un immenso Urzì ha sulle spalle l’intero film, supportato dall’ingenua freschezza di un’incantevole Stefania Sandrelli (allora diciottenne), da un convincente Puglisi e da uno strepitoso Leopoldo Trieste.
Il successo decretato dal pubblico alla pellicola fu tale che da allora il titolo divenne un modo di dire di uso popolare.
Nastro d’Argento e Premio al XVII Festival di Cannes per Saro Urzì come migliore interpretazione maschile. Nastro d’Argento a Leopoldo Trieste come miglior attore non protagonista e a Vincenzoni, Germi, Age e Scarpelli come miglior sceneggiatura.
David di Donatello a Pietro Germi come miglior regia e a Franco Cristaldi come miglior produttore. Da segnalare l’accattivante colonna sonora di Carlo Rustichelli
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