C’è chi sente il peso di non poter raccogliere l’eredità paterna e, per evitare impietosi paragoni, sceglie una strada professionale diversa.
Non è certamente questo il caso di Ricky Tognazzi, figlio del grande Ugo. Una carriera quella del figlio maggiore dell’attore cremonese, lastricata di successi come attore (“Io, Chiara e lo scuro”, “La tragedia di un uomo ridicolo”, “Maniaci sentimentali”…) che come regista (“Ultrà”, “La scorta, “Vite strozzate”, Canone inverso”…).
Amatissimo dal grande pubblico anche per le fiction televisive dirette e interpretate, Ricky Tognazzi ama spesso ritornare a Velletri, nella villa paterna.
Hai recitato al fianco di pellicole dirette da tuo padre. Quali le tue emozioni?
“Ero il suo aiuto regista. Il mio è stato un rapporto di collaborazione e ho cercato di essergli utile e offrire un tocco personale di creatività e mettere al suo servizio le mie suggestioni.”
Con quali occhi vedevi tuo padre sul set?
“Per me era una condizione normale. La linea di demarcazione tra l’Ugo attore e l’Ugo papà era labile. Ugo portava a casa il proprio lavoro, come facevano gli artigiani, e, dall’altro canto, distribuiva scampoli di vita vissuta sul set, dove amava portare se stesso, assieme a della piccole spigolature, vezzi e vizi privati, donando, così, ai suoi personaggi un’umanità, ai quali regalava un contributo di fantasia. Come d’altronde lo era la sua cucina, passione nella quale si esibiva, più che per ottenere un giudizio, per ricercare il calore dell’applauso che riceveva a teatro e che il cinema non gli poteva donare.”
Che pensava tuo padre della tua scelta di diventare regista?
“Ha visto l’episodio “Fernanda” di “Piazza di Spagna”, una serie televisiva del 1988, prodotta da Ettore Scola e poi “Piccoli equivoci”, il mio film d’esordio sul grande schermo, che ho diretto l’anno successivo. Ricordo che volle vedere il film in una piccola sala di Milano. Era seduto alle mie spalle. Quando si spensero le luci, gli spettatori applaudirono e, allora lui, che era molto contento, si rivolse a Lucio Ardenzi, il produttore, e gli disse: “Sono rincoglionito o il film è carino?”
Hai recitato in tantissimi film. A quale personaggio sei rimasto più legato?
“Innanzitutto voglio dire che il mestiere dell’attore mi diverte molto e lo faccio volentieri. In verità, ai registi non piace tanto avere tra i piedi un attore che ha diretto dei film, perché hanno sempre paura di essere giudicati.
Sono legato al personaggio di Edoardo di “Caruso Pascoski” di Francesco Nuti. Su tutti, però, quello che amo di più è Paolino ne “La famiglia” di Scola, un personaggio affettuoso, sensibile, infantile e buffo da morire. E pensare che, in quel film, mio padre era Vittorio Gassman e mia madre Stefania Sandrelli…
Scola ha sempre creduto in me, mi ha aiutato ed è sempre stato disponibile al confronto. Apparteneva a quella generazione che educava al pensiero. Era capace di leggere una sceneggiatura e stare un’intera giornata a chiacchierare con te. Più che un maestro, l’ho sempre considerato un preside.”
Intervista pubblicata sulla Rivista il Corace – Febbraio 2025
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