Henry Harriston (William Hurt), famoso psicoanalista newyorkese, tramite un annuncio su un giornale, scambia il proprio appartamento di New York con quello parigino di Beatrice Saulnier (Juliette Binoche), una giovane ballerina di danza classica. Non appena Beatrice mette piede nel lussuoso appartamento dello psicoanalista, è invasa da una folla di pazienti che, come se nulla fosse, si sdraiano sul lettino e le raccontano i più reconditi segreti. Beatrice è affascinata da quel clima d’intimità che si viene a creare nella stanza di terapia e confida alla sua amica Ann (Stephanie Buttle) che in passato si era sottoposta ad analisi, quello che le sta capitando e le chiede come uno psicoanalista si comporta in seduta. Beatrice continua a esercitare il suo nuovo lavoro e poiché è sempre molto diretta, franca e schietta con i pazienti, le terapie vanno a gonfie vele. Henry intanto ritorna a New York e dopo aver scoperto che Beatrice si spaccia per analista, invece di denunciarla, va in cura da lei come paziente. Tra i due scatterà inevitabile l’amore e il più banale lieto fine concluderà la vicenda.
Pellicola insipida e incolore che irrita per la stupidità del soggetto, per la piattezza dei dialoghi e per l’assoluta mancanza di intreccio narrativo. La regista Chantal Akerman naufraga nei più classici luoghi comuni: il freddo e algido attico del dottore a Manhattan è contrapposto al piccolo, caldo, sgangherato e rumoroso monolocale di Beatrice; l’analista è più grave dei pazienti che ha in cura ed è vittima del classico complesso d’Edipo e la dolce ballerina francese è più accogliente e terapeutica dell’affermato professionista.
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