Beatrix Varga (Cristina Brondo), giovane psichiatra, è assunta nella prestigiosa clinica diretta dal dottor Sanchez Blanch (Feodor Atkine) attrezzata per la cura delle malattie mentali. Sin dal suo arrivo, Beatrix è colpita da una bambina che dopo aver assistito all’omicidio della madre da parte del padre, si è chiusa in un mutismo assoluto. Proprio quando la dottoressa sembra aver trovato un varco nella sua mente, la bambina viene trovata annegata e con i polsi tagliati. Da quel momento in Beatrix si mescolano incubi e allucinazioni e la realtà è confusa con i sogni. Un sincopato finale svelerà un’amara verità.
Quali misteri nasconde questa clinica moderna e funzionale, posta in riva al mare, dotata di piscina e di altri innumerevoli comfort? E se fossero gli stessi medici a indurre al suicidio i pazienti mediante induzioni post-ipnotiche? Perché Beatrix assume, all’insaputa dei colleghi, manciate di psicofarmaci? La pellicola si snoda intorno a questi snervanti interrogativi e ci presenta un’impaurita Beatrix che, sin dal suo ingresso in clinica, sembra nascondere qualche inquietante verità. Con lo sguardo smarrito e spaventato, gira per i labirintici corridoi, travolta da incubi e allucinando scene erotiche che vedono come protagonisti pazienti, infermieri e colleghi della struttura. Ambienti immersi in un bianco accecante, arredamento minimalista, psicofarmaci sparati a palla nelle vene dei pazienti e frasi oscure e sibilline pronunciate dai dottori fanno da cornice all’intera vicenda. Il film, lanciato con questa frase non proprio originale, rimpolpa il genere che sta impazzando in questi ultimi anni sullo schermo. La ricetta è semplice e banale: un’accurata fotografia, una scrittura visiva che strizza l’occhio al video-clip, un ritmo serrato, una narrazione costantemente spezzettata, sogni confusi con la realtà, un puzzle da ricomporre e una psichiatra che viene risucchiata gradualmente nei gorghi della follia. Il titolo non solo fa riferimento alle tecniche ipnotiche utilizzate nella struttura, ma è anche un evidente richiamo al regno della notte (Hypnos) teatro degli incubi della protagonista. Dal romanzo omonimo di Javier Azpeitia.
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