Possession di Andrzej Zulawski – 1980

20 Luglio 2015 | Di Ignazio Senatore
Possession di Andrzej Zulawski – 1980
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Berlino. Anna (Isabelle Adjani) è una donna inquieta e ribelle. Sposata con Marc (Sam Neill) e madre del piccolo Bob, ha da tre anni una tempestosa relazione con Heinrich (Heinz Bennent), un uomo più vecchio di lei che vive in una casa disadorna con la madre anziana. Marc va a casa di Heinrich che, dopo averlo picchiato selvaggiamente, gli confessa di aver perso i contatti con Anna. Marc, un soggetto passivo e dipendente, gli propone di diventare complici e di scambiarsi informazioni sugli eventuali spostamenti della donna. Anna, sempre più inquieta e angosciata, non è mai a casa con il figlio Bob e passa il tempo in un appartamento spoglio e disabitato dove si accoppia con un essere mostruoso con il viso a forma di parallelepipedo e rigato di sangue. Marc si rifugia nelle braccia di Margie (Margit Carstensen), ma non riesce a dimenticare Anna che in una delle sue fugaci apparizioni in casa, dopo un furibondo litigio con lui, si procura una larga ferita al collo con un coltello elettrico. Marc riesce a calmarla, ma lei, con lo sguardo allucinato, gli dice: “Ho infettato tutto, anche Bob. Sono una falsa donna, dannatamente sola. Mi hai convinta che io sia una donna e credo sia vero, ma le ragioni sono diverse. L’una lotta contro l’altra, dilaniandosi la carne con le unghie, tutte e due sono esauste, ma ognuna di loro si augura che sia l’altra a cedere e a svanire.” Completamente divorata dalla follia, Anna in un finale inondato di sangue, morirà insieme a Marc.

Zulawski sembra inizialmente fare il verso a Repulsion di Polanski e Anna pare una schizofrenica che vaga come un’ombra sullo schermo, assalita da terrificanti allucinazioni. Il regista avrebbe potuto giocare di più sull’incertezza e ammantare maggiormente di mistero la trama, lasciandola dondolare ancora un po’ tra l’onirico e il reale, ma con l’ingresso in campo del mostro sceglie inevitabilmente di percorrere i sentieri dell’horror e, abbandonato ogni intreccio narrativo, punta a sorprendere il pubblico con scene sempre più cupe e truculente. Adjani, nel suo misero abitino di colore blu, si dimena all’uscita del metrò, vomita schiuma, strilla e si dimena come un’indemoniata. All’inizio fa tenerezza, con il trascorrere del film sembra solo una matta indiavolata, assetata di sangue e di sesso.

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