1915. I turchi impongono la loro supremazia sugli armeni, che sono, in gran numero, sterminati. Il fabbro Nazareth Manoogian (Tahar Rahim), dopo alcuni anni di prigionia, va alla ricerca della moglie. Scopre che è stata ammazzata e che le figlie gemelle sono ancora vive. Sarà l’inizio di un lungo, faticoso e periglioso viaggio che lo porterà dalla Turchia al Libano, da Cuba al Nord Dakota.
Fatih Akin, talentuoso regista cult de La sposa turca, ci regala un protagonista dal cuore d’oro, che essendo diventato muto, non può che soffocare dentro di sé il proprio dolore per la tragedia che ha travolto la sua famiglia ed il suo popolo. In questo avventuroso e melodrammatico road- movie, che si sarebbe giovato di una bella sforbiciata in sede di montaggio, il regista dolcifica però troppo la narrazione con l’illustrazione, punta al kolossal per narrare una delle pagine più oscure del secolo scorso e lascia che i veri protagonisti della pellicola siano i magnetici, sassosi e polverosi spazi desertici della Turchia. Akin cita il Monello di Chaplin.
Recensione pubblicata su Segno Cinema N. 195 – Settembre – Ottobre 2015
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