New York. 1961. Quando cantava in coppia con Mike Timlin, Llewyn Davis (Oscar Isaac), cantautore folk, aveva raggiunto un certo successo con l’album “If we had wings”. Ma sul più bello Mike si suicida e Llewyn, dopo un po’, si ritrova completamente al verde e senza nemmeno un tetto dove dormire.
Gironzolando per il Greenwich Village, chiede ospitalità ad i coniugi Garfein o a Jean (Carey Mulligan), cantante folk, legata sentimentalmente a Jim (Justin Timberlake).
Senza nemmeno un cappotto, in pieno inverno, Llewyn suona di tanto in tanto al “Gaslight”, un locale di proprietà di Pappi Corsicato (Max Casella), dove si esibiscono altri gruppi folk in cerca di successo. Un chitarrista s’ammala e Llewyn prende il suo posto nella registrazione del brano di un album.
Johnny (Garrett Hedlund), uno dei musicisti con il quale ha inciso il pezzo, lo invita a seguirlo a Chicago, assieme al veterano Roland Turner (John Goodman), un vecchio jazzista brontolone, acido, scontroso e tossicomane.
Llewyn non ci pensa su due volte e coglie al volo l’occasione. Ma una notte, mentre sono in viaggio, i tre si fermano in auto per riposare e beccano il solito poliziotto zelante e arrogante; Johnny gli risponde per le rime ed è arrestato.
Dopo un’infruttuosa audizione con il famoso produttore Bud Grossman (F. Murray Abraham), a Llewyn non resta che fare l’autostop, ritornare a New York e cantare al Gaslight. Ma un tipaccio lo aspetta fuori dal locale per dargliene quattro e Llewyn…
I fratelli Coen (Arizona Junior, Barton Fink, Mister Hula Hoop. Fargo, Il grande Lebowski, L’uomo che non c’era…) non deludono neanche stavolta i loro fan ed imbastiscono una storia liberamente ispirata alla figura del folk-singer Dave Van Ronk, tratta dalla biografia ”Manhattan Folk Story”, scritta da Elijah Wald.
Llewyn è descritto come un cantante che propone i suoi brani, nostalgici, melanconici e struggenti, senza mai scendere a patti con il commerciale ed orecchiabile mercato discografico.
Fedele al suo stile, non si preoccupa di dormire dove capita, saltare i pasti e aggirarsi per una New York fredda e gelida, assieme all’inseparabile chitarra ed al gattino Ulisse che, improvvidamente, ha fatto scappare da casa dei Garfein e che poi, fortunosamente, recupera dopo varie peripezie.
I Coen, con sagacia, non ci propongono l’ennesimo lottatore che prende a schiaffi la vita ma, all’opposto, un indolente pasticcione che non riesce mai ad andare mai in fondo alle cose ed a cui non ne va bene una.
Per tutto il film, infatti, Llewyn gira a vuoto, sia sentimentalmente che professionalmente. “Uomo senza qualità”, non reagisce quando Jean gli vomita addosso la propria rabbia per averla messa incinta, né si scompone quando scopre che Kate, la donna che aveva messo incinta due anni prima, aveva scelto di non abortire e tenere il bambino, senza neppure comunicarglielo. Per quest’incapacità di affrontare il mondo reale Llewyn ispira rabbia e tenerezza, irritazione e indulgenza.
Usando uno schema circolare (la fine coincide con l’inizio), i Coen lasciano l’amaro in bocca allo spettatore e non offrono nessun spiraglio di luce all’indifeso e passivo protagonista.
I brani cantati in diretta da Oscar Isaac (più bravo come musicista che come attore), meritano da soli il prezzo del biglietto. Sullo sfondo campeggia, mai citato, la figura di Bob Dylan. Grand Prix 66 Festival di Cannes.
Per un approfondimento sul tema si rimanda al volume di Ignazio Senatore “Cantanti, musicisti e rock band”, edito da Arcana.
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