Vienna. 26 marzo 1827. Ludwig Van Beethoven (Gary Oldman) muore ed affida ad Anton Schindler (Jeroen Krabbé), fedele amico ed amministratore, il suo testamento su cui è scritto: “La mia musica e tutte le mie proprietà andranno ad un solo erede… la mia amata immortale“.
Dopo aver respinto le richieste di un fratello di Ludwig, che premeva per essere riconosciuto come unico erede, Schindler, si mette sulle tracce delle ex amanti del compositore.
Incontra la contessa Giulia Guicciardi (Valeria Golino), che gli racconta dell’amore assoluto che il musicista nutriva nei suoi confronti, al punto da chiederle in sposa.
A causa della sordità, Ludwig era però diventato sempre più irascibile, scontroso e chiuso in se stesso ed il matrimonio andò a monte. Schindler incontra allora la nobildonna ungherese Anna Marie Erdody (Isabella Rossellini), che gli conferma la loro salda e sincera amicizia, mai sfociata, per le resistenze e le chiusure del maestro, in una vera e propria passione.
Grazie a dei salti temporali, la vicenda si sposta nuovamente al passato. Caspar, fratello di Ludwig, sposa Johanna (Johanna ter Steege), un ex prostituta che mette al mondo Karl (Marco Hofschneider). Alla morte di Caspar, Ludwig, intenta una causa per ottenere l’affido del nipote.
Collerico, instabile emotivamente e incapace di tessere relazioni affettive significative. Ludwig scarica la propria rabbia dedicandosi al nipote Karl, costringendolo tirannicamente a suonare il piano per ore. Schindler, dopo essersi recato a Karlsbaad, scopre che Johanna, un tempo era stata l’amante di Ludwig. E se Karl fosse nato dalla loro unione?
Ennesima biografia romanzata, dedicata al grande musicista tedesco. Il regista (autore poi nel 2013 de “Il violinista del diavolo”) sceglie di snodare la vicenda a ritroso, a partire dalla morte di Ludwig, donandole un tocco dal sapore giallesco e lascia che Schindler si travesti da detective per scoprire chi sia la misteriosa “amata immortale”.
A differenza degli altri biopic, nel film mancano i trionfi, la folla osannante ed i giudizi lusinghieri dei critici ed il regista, tralasciando decisamente lo spazio alle sonate ed alle sinfonie del grande compositore, ci mostra un vecchio, infermo, sconfitto ed alla deriva, divenuto sordo e che oltre a non compone più nessuna opera, si rifiuta anche di suonare.
Il film mantiene una sua unità, ma è privo di slanci e quasi senz’anima e Gary Oldman si compiace troppo nel ruolo.
Curiosità: al sommo musicista sono state dedicate altre tre pellicole: Un grande amore di Beethoven di Abel Gance (1936), Il nipote di Beethoven di Paul Morissey (1985) ed Io e Beethoven di Agnieszka Holland (2006).
Per un approfondimento sul tema si rimanda al volume di Ignazio Senatore “Cantanti, musicisti e rock band”, edito da Arcana.
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