“Non mi interessava la spettacolarizzazione della camorra, ma mostrare degli angoli di quel fenomeno mai esplorati. Ero assolutamente consapevole“, dichiara Francesco Patierno, del rischio che mi sono preso, quello di trattare un argomento che sembra essere esaurito, che è stato molto sfruttato, ma con il mio documentario “Camorra”, presentato qualche giorno fa alla Mostra del Cinema di Venezia, desideravo ribaltare dei luoghi comuni.
“Se la camorra è un palazzo, ho voluto mostrare le fondamenta, l’humus da cui è nata, i meccanismi che l’hanno generata e che l’hanno portata a svilupparsi fino ai giorni nostri. L’idea mi è stata proposta da Maria Pia Ammirati, responsabile della Teche della Rai, che ha chiesto a diversi registi di trattare dei temi diversi, utilizzando il materiale che la Rai ha conservato negli anni. Mi ha suggerito quello della camorra, anche sulla scorta, credo, di “Peter familias”, il mio film d’esordio ed ho accettato con entusiasmo, proprio perché avevo l’idea di uno sviluppo, di un mio sguardo molto personale del fenomeno.”
Il documentario racconta, infatti, lo sviluppo della criminalità organizzata a Napoli tra il 1960 e il 1990, a partire da quella affiliata al clan di Raffaele Cutolo. Al di là di materiali del tutto inediti, Patierno ha attinto a dei programmi storici della Rai come “Telefono Giallo” e “AZ, un fatto come e perché”, dove comparivano cronisti di grido come Luigi Necco, Gianni Bisiach e Joe Marrazzo.
“Il mio è uno sguardo su tutta la città di Napoli, prosegue il regista napoletano, non solo sulla camorra. A Napoli il basso e l’alto sono mischiati come in un groviglio difficile da dividere.”
Articolo pubblicato su il Corriere del Mezzogiorno 4- 9- 2018
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