Il delitto Fitzgerald di Matthew Ryan Hoge – USA – 2003 – Durata 108’

1 Luglio 2022 | Di Ignazio Senatore
Il delitto Fitzgerald  di Matthew Ryan Hoge – USA – 2003 – Durata 108’
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Il quindicenne Leland Fitzgerald (Ryan Gosling), figlio di due genitori separati, ha una relazione con Becky (Jena Malone). Leland è però un ragazzo troppo sensibile e tormentato ed, angosciato dall’infelicità del mondo, uccide Ryan (Michael Welch), un ragazzo autistico, fratello di Becky. Recluso in carcere minorile, attira le attenzioni di Pearl (Don Cheadle), un educatore, aspirante scrittore che, interessato alla sua vicenda, decide di scoprire cosa l’abbia spinto a compiere quel crudele ed inspiegabile delitto. Leland è chiuso a riccio e allora Pearl lo invita ad affidare ad un diario le sue riflessioni. Julie, sorella di Becky rompe con Allen (Chris Klein), il suo fidanzato, che, convinto che sia stato abbandonato per colpa di Leland, decide di vendicarsi…

Ryan Hoge dirige un film il cui titolo rimanda inequivocabilmente ad un giallo, ma al regista americano non interessa né la suspense, né l’intrigo e, infatti, sin dalle prime battute del film, svela l’assassino, l’introverso, indecifrabile e silenzioso Leland, un adolescente la cui vita sembra scorrere regolarmente, senza grandi sobbalzi; una fidanzata di cui è innamorato, degli amici con i quali ha degli ottimi rapporti ed una tranquilla città di provincia che gli fa da cornice.

Grazie alle chiacchierate con Pearl scopriamo però che Leland ha un rapporto inesistente con la madre Marybeth (Lena Olin) e che il padre, Albert (Kevin Spacey),un famoso scrittore, è un uomo gelido ed anaffettivo che, invece di stargli affianco, gli regala dei biglietti aerei per viaggiare da solo in lungo ed in largo per gli States.

In questa pellicola, che fotografa alla perfezione il disagio esistenziale di un adolescente, a cui apparentemente non manca niente, il regista svela solo nel finale, con la voce off del protagonista, cosa lo abbia spinto a compiere quell’incomprensibile delitto: “Vedevo la tristezza in ogni singolo volto, sentivo il cuore che si spezzava in continuazione e ogni volta era come la prima volta. (…) Non so perché cominciai a vederla in Ryan più che in ogni altro. Tutte le parole che gli insegnavano in classe erano cose di cui doveva stare attento. Non c’erano parole come fragola o bacio. Si vedeva che gli piaceva la ragazza che lavorava lì, ma lei gli sorrideva come si fa con un bambino quando fa qualcosa di carino. Cominciai a pensare che lui sapeva, sapeva che non sarebbe mai stato un ragazzo con una ragazza. Sapeva tutto. Sapeva che nessuno lo guardava come si guarda un ragazzo normale. La gente rideva di lui o provava pena per lui. Sapeva tutto questo, ma non poteva farci niente. Era intrappolato. Non riuscivo a dormire, pensavo a Ryan e come se stessi soffocando. La tristezza era dappertutto e io non potevo fare niente, avrei solo voluto che andasse via.”

Con la sua faccia acqua e sapone ed il suo sguardo smarrito e spaesato Ryan Gosling è perfetto nel non regalare un tocco luciferino al protagonista. Il piccolo Ryan, troppo ai margini della narrazione, compare solo in due brevissime scene.

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