Il signor Lisbon (James Woods) e la moglie (Kathleen Turner) sono i genitori di cinque splendide fanciulle; Cecilia (Hannah Hall) la più giovane di tredici anni, Lux (Kirsten Dunst) quattordici, Bonnie (Chelse Swain) quindici, Mary (A.J. Cook) sedici e Therese (Leslie Hayman) diciassette. Le quattro sorelle sono uno schianto ed attirano gli sguardi languidi dei maschietti della zona. I Lisbon decidono di organizzare una festa per le loro figliole ma Cecilia, nel bel mezzo del ricevimento, si lancia nel vuoto dal tetto di casa. Le ragazze sotto shock si rintanano in casa e ritornano a scuola dopo un lungo periodo d’assenza. Trip Fontane (Josh Hartnett) un giovanotto simpatico s’innamora di Lux e vuole portarla al ballo della scuola ed i Lisbon, dopo qualche resistenza, finiscono per cedere. Lux viene eletta reginetta della scuola ed ebbra di felicità rientra a casa al mattino. Per punizione la madre ritira da scuola tutte e quattro le figlie e le rinchiude a chiave nella loro stanza. Isolate dal mondo e divorate dalla noia e dalla solitudine, le giovani Lisbon trascorrono le giornate a leggere qualche rivista ed a ciondolare senza fa nulla nella loro camera da letto fino a quando decidono di suicidarsi, nello stesso istante, ognuna con modalità diverse.
All’esordio alla regia la figlia del grande Francis Ford Coppola confeziona una pellicola sognante e disperata, dai colori pastello, ispirata ad una storia vera accaduta nel 1974 a Grosse Point, periferia di Detroit. La regista fa un grande uso della voce fuori campo di un ragazzino (che funge da narratore e fa da raccordo all’intera vicenda) e diserta scavi psicologici ed interpretazioni, lasciando intravedere solo sottotraccia il dramma interiore delle infelici ragazze che, per tutto il film, in maniera sospetta, non osano mai ribellarsi ad una madre rigida, severa, sessuofobica ed anaffettiva, né riescono a legare con il papà, un uomo che trascorre le giornate dietro i suoi modellini e che non interviene mai a contrastare le folli decisioni della moglie. Angeli biondi caduti magicamente sulla terra, non muovono un muscolo dopo il suicido di Cecilia, non piangono, non si deprimono, ma continuano la loro vita come se nulla fosse accaduto. Dopo l’ennesima punizione il loro atteggiamento non muta e, senza battere ciglia o mostrare rabbia o dissenso, rimangono tranquille chiuse a chiave nella loro stanza. Dopo il finale tragico la madre, incapace di accedere al proprio dolore, come un automa ripeterà: “A nessuna delle mie figlie è mancato l’amore. C’era tutto l’amore necessario nella nostra casa. Non ho mai capito perché”.
La regista inonda la vicenda di una luce calda e solare, lascia che il bianco accecante degli abiti delle cinque fanciulle facciano da contro-altare al nero che hanno nel cuore. Di un bellezza agghiacciante le scene che mostrano i loro corpi senza vita, disseminati tra il giardino ed il resto della casa. Nelle prime battute del film compare il dottor Horniker (Danny De Vito) che sottopone Cecilia al test di Rorscharch. Dal racconto di Jeffrey Eigenides.
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